Di seguito un lungo estratto dell’intervista ai creativi Francesco Bozza di Grey Italia e Giuseppe Mastromatteo di Ogilvy Italia, pubblicata su Box Office del 15-28 febbraio 2023 (n. 3-4). Per leggere il testo integrale clicca QUI, oppure scarica la versione digitale dall’app di Box Office su Google Play e App Store, o abbonati direttamente alla versione cartacea della rivista.
Quante volte la campagna marketing di un film resta impressa nella mente? Quando spicca davvero per originalità e incide sull’affluenza in sala? Purtroppo, meno spesso di quanto si creda. Capita sovente, infatti, di assistere a processi reiterati e a consuetudini ingessate nel lancio di titoli in sala o di iniziative nazionali volte a rilanciare l’esperienza cinematografica. Non mancano poi atteggiamenti fatalisti, dove si confida più in un miracolo che in un reale ritorno dalla campagna avviata, specialmente se il budget a disposizione non è dei migliori. Ma quali sono gli elementi determinanti per una comunicazione di successo? È veramente solo un problema di budget? E quale posizione dovrebbe assumere il settore cinematografico per mettersi al servizio di un marketing più incisivo e impattante? Lo abbiamo chiesto a due tra i più grandi creativi italiani contemporanei, Francesco Bozza (VP e Chief Creative Officer dell’agenzia Grey Italia) e Giuseppe Mastromatteo (President & Chief Creative Officer dell’agenzia Ogilvy Italia), entrambi parte del Gruppo WPP, che hanno accettato la sfida di lasciarsi provocare e di indirizzare il cinema verso una nuova spinta creativa, senza il timore di rispondere agli interrogativi più spinosi.

Francesco Bozza di Grey Italia (a sinistra) e Giuseppe Mastromatteo di Ogilvy Italia (a destra)
Escluso in occasione di grandi blockbuster come Avatar 2, il cinema sembra faticare a essere percepito come un’esperienza davvero cool da fruire nel tempo libero. Come si può invertire questo trend?
Giuseppe Mastromatteo: La nostra generazione è cresciuta al cinema e ha la responsabilità di trasmettere questa passione ai propri figli, allo stesso modo del calcio. Bisogna iniziare sin da piccoli, perché la bellezza della settima arte si apprende poco alla volta e procede per gradi. Soprattutto per le famiglie, il cinema è un momento importante di convivialità, un’esperienza qualitativa non replicabile tra le mura domestiche. A casa si potrà avere anche un proiettore, o l’ultimo modello di televisione, ma non sarà mai la stessa esperienza immersiva che si vive con il grande schermo, priva di distrazioni. Le opere d’arte vanno viste al museo, non in foto su Internet. Per questo vedo il cinema come una chiesa: si sta in silenzio e si partecipa con raccoglimento a un gesto ricco di ritualità che arricchisce umanamente e spiritualmente.
Francesco Bozza: Sono d’accordo al 100%. Io stesso ho ricordi splendidi al cinema con mio figlio, che ora, all’età di sedici anni, porta avanti con passione questa legacy. E a proposito di cinema e piattaforme, recentemente ho assistito a un episodio emblematico: durante una cena, un figlio di amici di 8 anni ha perso quasi un’ora di tempo per trovare un film da vedere tra tutte le varie piattaforme streaming a disposizione. Fortunatamente il cinema è diverso, richiede un obiettivo: si va per vedere Avatar 2 e questo cambia tutto.
Mastromatteo: Esatto, con le piattaforme salta subito all’occhio il paradosso della scelta: più ampia è la gamma di prodotti a disposizione, più facilmente si andrà in confusione.

In occasione dell’uscita del reboot Baywatch (2017), un’agenzia pubblicitaria ha organizzato la “Slowmo Marathon”: una corsa di 100 metri dove le persone dovevano correre simulando l’effetto in slow-motion, a rallentatore (© Getty Images)
A volte c’è il rischio di una certa ripetitività quando si lancia un nuovo film in sala: si struttura una campagna marketing su percorsi standardizzati – a seconda del budget a disposizione – e si spera che qualche colpo vada a segno. Secondo voi qual è il mindset da cambiare per aprirsi a nuove strade, tenendo conto anche di budget non sempre alti?
Bozza: Spesso non si ha idea di cosa significhi impostare, creare e strutturare una campagna marketing per lanciare un film. Da fruitore di film e da pubblicitario posso ragionevolmente affermare che investire nei media solo per lanciare un trailer non è una strategia vincente, è il nulla cosmico. Le campagne per lanciare titoli sul grande schermo sono un’altra cosa e in Italia, purtroppo, si vedono raramente, perché manca una cultura del movie advertising secondo le regole delle agenzie di comunicazione che amplificano il sapore di un film. Questa cultura, invece, è abbracciata dalle piattaforme streaming, che strutturano piani marketing a regola d’arte per il lancio di nuovi contenuti. Soprattutto all’estero la comunicazione si fonda su un’idea, non fa affidamento solo sul trailer. Penso alla campagna virale realizzata per l’uscita del reboot di Ghostbusters (2016), dove in Spagna hanno simulato l’arrivo in metropolitana di un treno fantasma sfruttando solo suoni e rumori, per poi filmare le reazioni dei pendolari disorientati. Un video che è stato trasmesso in tutto il mondo e al cui termine partiva la colonna sonora di Ghostbusters. Un altro esempio degno di nota è l’iniziativa organizzata per il reboot di Baywatch (2017), dove un’agenzia pubblicitaria ha organizzato la “Slowmo Marathon”: una corsa di 100 metri dove le persone dovevano correre simulando l’effetto in slow-motion, a rallentatore.
Mastromatteo: Le piattaforme streaming sono indubbiamente più vivaci sul fronte marketing. Penso al Dalì gigante allestito accanto al dito medio di Cattelan in piazza Affari a Milano, in occasione dell’anteprima della terza stagione de La casa di carta. È molto raro assistere a operazioni simili in ambito cinematografico.

Per promuovere l’uscita del reboot di Ghostbusters (2016), in Spagna hanno simulato l’arrivo in metropolitana di un treno fantasma sfruttando solo suoni e rumori, per poi filmare le reazioni dei pendolari disorientati, e dando vita a una campagna diventata virale (© Getty Images)
Ma quanto incide il budget a disposizione?
Bozza: Certamente ha un suo peso, ma incide molto di più l’idea. Ricordo ancora quando in America è stato trasmesso un finto messaggio politico per promuovere la nuova stagione del serial House of Cards durante il Superbowl. Avrebbero potuto mandare in onda il solito trailer con attori famosissimi e invece hanno optato per un’operazione di advertising spiazzante. Ma il vero genio del marketing risale a cinquant’anni fa, quando Hitchcock, in occasione dell’uscita in sala di Frenzy, ha gettato nelle acque del Tamigi alcuni finti cadaveri con le sue sembianze. Un’operazione di guerrilla marketing che, nonostante le diverse denunce ricevute, ha decretato il successo del film al cinema. E non si trattava di un grande blockbuster, bensì di un thriller del 1972. Invece in Italia si litiga per lo spazio pubblicitario di un trailer durante Sanremo, pensando che quella sia la strategia migliore. Ma non basta la visibilità, bisogna creare hype attorno a un contenuto cinematografico.
A proposito di creatività e quantità, quale di questi due elementi incide maggiormente in una campagna?
Bozza: Ai miei clienti dico sempre che se si spendono tutti i soldi per essere ammessi a un party esclusivo e poi ci si presenta con i vestiti sbagliati, si farà inevitabilmente una brutta figura. È una metafora per dire che anche se si manda in onda uno spot poco impattante per 50 milioni di volte, il pubblico finirà comunque per percepire il film come un contenuto di bassa qualità. Bisogna ricordare che la gente odia la pubblicità, mentre ama le belle idee. In Italia, invece, si investono grandi somme per essere ammessi a una festa esclusiva e poi si va con capi acquistati al mercato. Non dico di emulare le campagne di Apple, ma va trovato il giusto equilibrio.
Mastromatteo: Il problema di oggi è che si investe davvero troppo poco sulla qualità artistica della comunicazione. Non a caso, quando un cliente punta sulla creatività e sul crafting, si nota subito la differenza. Quindi va bene spingere economicamente sui media, ma servono qualità e vestiti migliori. Non si può organizzare la mostra di un grande pittore con un allestimento scadente.

Hitchcock con un calco del suo volto sul set di Frenzy (1971). Per promuovere il film, il regista ha gettato nelle acque del Tamigi alcuni finti cadaveri con le sue sembianze. Un’operazione di guerrilla marketing che, nonostante le diverse denunce ricevute, ha decretato il successo del film al cinema (© Getty Images)
Cosa intende quando parla di crafting?
Mastromatteo: Il crafting è il lavoro che fa Hanz Zimmer per le sue colonne sonore, come le tre note ricorrenti in Interstellar, o il ticchettio dell’orologio in Dunkirk. Ma è anche il personaggio di Mercoledì che non batte mai le ciglia per tutta la serie di Netflix. Purtroppo, il crescente timore verso tutto ciò che è sperimentazione, ha inevitabilmente abbassato il livello qualitativo medio del crafting.
I grandi circuiti e le sale cinematografiche in genere investono poco in marketing, contando soprattutto sui trailer proiettati sul grande schermo e sulle campagne delle distribuzioni. In altri Paesi, invece, comunicano attivamente i film e incentivano la frequentazione nelle loro sale. Come giudica questo modus operandi?
Bozza: Vi racconto un aneddoto. A Lima, in Perù, dove le persone sono grandissimi appassionati di calcio, una sala cinematografica ha deciso di programmare le partite sul grande schermo. Il riscontro è stato sorprendente e sono arrivate anche moltissime persone che raramente vanno in sala. Hanno addirittura creato uno spot televisivo che, unito ad attività di marketing territoriale, ha dato vita a una campagna di grande successo. Dobbiamo osservare e imparare da questi mercati più evoluti nella cultura dell’advertising, altrimenti continueremo a ripetere noi stessi con scarsi risultati.
Consigli pratici per quei cinema che intendono posizionarsi come un’esperienza premium agli occhi del pubblico e affiancare una comunicazione alle campagne delle distribuzioni?
Mastromatteo: Inviterei a osservare il recente percorso evolutivo delle librerie, che negli ultimi anni si sono radicalmente trasformate diventando luoghi più cool, dove è piacevole trascorrere qualche ora tra libri, poltrone, bar e sale convegni. È essenziale reinventarsi e offrire al pubblico un’esperienza nuova, ricca di stimoli. L’esatto opposto, quindi, della staticità di gran parte dei cinema italiani che, invece, potrebbero sfruttare immensi spazi comuni spesso inutilizzati. I cinema dovrebbero essere costantemente frequentati, non possono essere abbandonati a se stessi (esclusi i giorni più affollati e gli orari di punta). Va rimesso al centro il tema della experience. E lo stesso discorso delle librerie vale per gli Apple Store, dove non si entra solo per acquistare, ma anche per frequentare lezioni gratuite, provare le ultime novità e trascorrere del tempo con gli amici. Oggi, con la sfida
delle piattaforme in corso, non si può…
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Per l’anteprima della terza stagione del serial La casa di carta, è stato allestito un Dalì gigante accanto al dito medio di Cattelan in piazza Affari a Milano (© Getty Images)
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