Di seguito un lungo estratto dell’articolo pubblicato su Box Office del 15-28 febbraio 2023 (n. 3-4). Per leggere il testo integrale clicca QUI, oppure scarica la versione digitale dall’app di Box Office su Google Play e App Store, o abbonati direttamente alla versione cartacea della rivista.
Prima il gatto, poi l’orso e il coniglio. E alla fine, fra un anno, toccherà anche alla star: il topo. La legge americana sul copyright, che tutela per 95 anni le opere d’ingegno, non lascia margini di trattativa. Quel che è successo a Julius The Cat (1922), a Winnie the Pooh (1926) e più di recente a Oswald the Lucky Rabbit (1926), toccherà anche a Topolino. A partire dal primo gennaio 2024 il Mickey Mouse protagonista del celebre corto del 1927 Steamboat Willie – prima apparizione ufficiale del personaggio al cinema: talmente rappresentativa da essere inglobata, dal 2007, nel logo della Walt Disney Animation Studios – diventerà di pubblico dominio. Qualunque sceneggiatore in qualsiasi parte del mondo potrà dunque utilizzare Mickey Mouse come protagonista delle proprie storie, qualsiasi regista potrà metterlo al centro di spin-off, remake, spericolati crossover. Lo stesso destino del tenero Winnie The Pooh, uscito dal copyright l’anno scorso e già protagonista dell’horror slasher Winnie-the-Pooh: Blood and Honey, illustra chiaramente le potenzialità della “liberazione” dal copyright.
Per Topolino, Minnie e Clarabella – tutti nel “cast” di Steambot Willie – le catene si spezzeranno nel 2024. Al cane Pluto toccherà nel 2026 (lo stesso anno in cui sarà libero anche Braccio di Ferro), a Pippo nel 2028, a Paperino nel 2030, a Paperina nel 2036.

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Ma la questione non riguarda solo l’animazione, Disney e le sue creature. Nel corso di quest’anno diventeranno di pubblico dominio anche il cortometraggio Metti i pantaloni a Philip, prima apparizione della coppia Stanlio e Ollio, film come Il pensionante e Il declino, primi thriller di Alfred Hitchcock, e persino lo storico Il cantante di jazz di Alan Crosland, che segna la nascita dell’era del cinema sonoro – rivisitato di recente, in tutta la sua ambiguità, dal kolossal Babylon di Damien Chazelle.
Luce verde, a partire da quest’anno, per gli adattamenti del tedesco Metropolis di Fritz Lang (il copyright finisce però solo negli Stati Uniti: nel resto del mondo i diritti scadranno nel 2046), e ancora per Ali di William Wellman (prima pellicola a vincere l’Oscar al miglior film), per il primo gangster movie del cinema muto Le notti di Chicago di Josef von Sternberg e per molti altri film dell’epoca, come l’horror con Joan Crawford The Unknown.
Ma come funziona il diritto d’autore negli Stati Uniti? Pubblicata nel 1710 in Inghilterra, la prima legge moderna sul diritto d’autore concedeva per 28 anni, ai titolari delle opere, il diritto di esclusiva: un codice replicato dagli Stati Uniti nel 1790, salvo poi modificarlo, nel 1909, per allungare il termine di esclusiva di ulteriori trent’anni. La durata dell’esclusiva si è ulteriormente estesa a 75 anni dopo gli anni Settanta, per poi assestarsi nel 1998 agli attuali 95 con la legge Sonny Bono Copyright Term Extension Act (CTEA) – simbolicamente ribattezzata “Mickey Mouse Protection Act”, tanto per non lasciare dubbi sull’identità di chi, con quell’allungamento, sperava di mettere al sicuro i propri tesori.
DIRITTI, ISTRUZIONI PER L’USO
Basta poco, però, per accorgersi che la versione di Winnie The Pooh sulle locandine dell’horror Blood and Honey non aderisce esattamente all’immagine dell’orsacchiotto Disney tanto amato dai bambini. E il dettaglio che fa la differenza non è il martello che stringe minacciosamente tra le mani, ma l’abbigliamento: a mancare è l’iconica maglietta rossa che lascia scoperte le gambe dell’orso, accessorio che non appare nelle strisce disegnate da E. H. Shepard nel 1926 – dunque libere da copyright – ma solo nel primo cortometraggio con l’orso protagonista, distribuito dalla Disney nel 1966. Secondo la legge del copyright americano, infatti, l’autore perde dopo 95 anni i diritti sulla prima pubblicazione dell’opera – quest’anno diventano disponibili i diritti per le opere del 1926 – ma non sulle varianti successive: il Winnie The Pooh con la maglietta rossa, secondo la Legge, non potrà essere di dominio pubblico prima del 2061. Lo stesso discorso vale per Topolino, che resterà protetto – nel suo aspetto più noto – ancora per molti anni: a liberarsi dal copyright sarà il suo prototipo, quello che compare in Steamboat Willie, rigorosamente in bianco e nero, senza guanti bianchi né pupille, con le orecchie piccole e il naso allungato. Un topo ben diverso, evidentemente, dal suo fortunato erede. Allo stesso modo, chiunque voglia realizzare un remake di Metti i pantaloni a Philip potrà farlo solo senza usare i nomi di Stanlio e Ollio: in quella prima apparizione pubblica, infatti, Laurel e Hardy ancora non usavano i nomi che li avrebbero resi famosi solo più tardi, a partire da Lasciali ridendo, girato agli inizi del 1928. A definire i termini della complicata applicazione della legge – a fare scuola, si direbbe – fu nel 2014 il “caso” Klinger v. Conan Doyle Estate, Ltd, una disputa che opponeva gli eredi dello scrittore di Sherlock Holmes a Leslie S. Klinger, autore di un’antologia ispirata ad alcune delle storie dell’investigatore, pubblicate tra il 1887 and 1927 e libere da copyright. La corte giudicò illegittime le pretese degli eredi di Doyle, che chiedevano – trovandosi in possesso dei diritti delle ultime opere pubblicate dall’autore – l’estensione di un “copyright perpetuo” sull’intero corpus di Holmes, e autorizzò invece l’uso di personaggi e storie libere da copyright, vincolandone gli adattamenti al rispetto della versione “originale”. Il caso Sherlock Holmes fungerà da…
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