Cinemex, intervista al COO del circuito messicano Francisco Javier Eguren

Con più di 126 milioni di abitanti, il Messico è uno dei Paesi più grandi al mondo, nonché il più grande di lingua spagnola. Un mercato enorme in cui la catena cinematografica Cinemex gioca un ruolo cruciale dalla sua comparsa quasi 30 anni fa, nel 1995, quando tre studenti decisero di rivoluzionare un settore fino ad allora controllato dallo Stato. L’introduzione dei primi multiplex  e la gestione privata furono il primo passo verso un vero e proprio “impero dell’esercizio”, attualmente controllato dal Grupo México, la quarta azienda più grande del Paese.

Oggi Cinemex punta soprattutto all’esperienza  dello spettatore, e per questo offre una vasta gamma di sale, dalle Platino con sedili reclinabili, servizio di ristoro in sala e finger food, passando per le sale 4D, con sedie che ruotano su se stesse, fino alle sale CinemeXtremo, che dispongono di proiezione digitale e audio surround Dolby Atmos. Dal 2014, l’azienda si è espansa anche negli Stati Uniti, dove prevede di crescere ulteriormente nel prossimo futuro.

Abbiamo intervistato il COO dell’azienda Francisco Javier Eguren, che ha anche commentato i rumor su un eventuale piano di crescita anche in Italia e in Spagna.

Sorprende la crescita di Cinemex negli ultimi trent’anni. Cosa l’ha resa possibile?
«Compiremo 30 anni nel 2025. Cinemex è nato come un progetto di tre studenti di Harvard che volevano rilanciare un mercato, quello dell’esercizio cinematografico, che  in Messico era praticamente morto. Il controllo del cinema era infatti nelle mani del Governo, che possedeva sale in tutto il Paese e che decideva cosa proiettare. In quel contesto, questi tre ragazzi di Harvard decisero di lanciare un nuovo modello di business: i multiplex, un luogo di consumo che non esisteva in Messico. All’epoca, i cinema contavano poche sale molto grandi, con 4-5mila posti a sedere ciascuna. Erano poche le location che avevano due sale; di sicuro non esistevano  multisale con cinque, sei o sette schermi. Così, nel 1995, quei tre ragazzi crearono il primo Cinemex da sei schermi, e da lì questo nuovo business ha preso piede. Sempre in quel periodo, anzi un pochino prima, era entrato in gioco anche il nostro concorrente Cinemark, con il suo primo multiplex in Messico nello Stato di Aguascalientes, salvo poi non aprirne altri per diversi anni. Nel nostro caso, invece, ogni anno Cinemex apriva cinque o sei complessi da 5 schermi in su. Arrivò un punto, nel 2000, in cui ne contavamo già 25. In quel momento, la società fu venduta per la prima volta a un fondo d’investimento. Quest’ultimo la rivendette nel 2002, e ci furono altri passaggi nel 2006 e nel 2009; infine, Cinemex fu acquistata dall’azionista di maggioranza del Grupo México. In quel momento, Cinemex crebbe di colpo perché qualche mese prima Grupo México  aveva anche acquistato MM Cinemas, una catena del nord del Paese che apparteneva a un gruppo che possedeva anche giornali e televisioni. Si aggiunsero così i 30 cinema di Cinemex ai 100 di MM Cinemas. E dal 2009 fino ad oggi, Grupo México ha investito ogni anno per espandersi. Non solo siamo cresciuti in lungo e in largo in Messico, ma siamo approdati anche  negli Stati Uniti, dove abbiamo 30 multiplex dal 2014».

Quale ritiene essere la chiave del vostro successo?
«Mentre cresciamo in numero di location, parallelamente abbiamo lanciato nuovi formati di proiezioni, nuove tecnologie audio, nuove sedute. Il consumatore in Messico cerca molto la differenziazione, non si accontenta della poltrona tradizionale. Così, ora, ad esempio, proponiamo le nostre sale VIP, che chiamiamo Platino, con poltrone reclinabili, servizio al tavolo con un cameriere, cibo finger food da consumare insieme a un bicchiere di vino o una birra. La chiave è costruire un’esperienza completamente differenziata. Dei nostri 330 cinema attuali, 45 hanno sale Platino. Abbiamo poi altri formati come il 4D, sale in cui le poltrone si muovono, ti viene soffiata aria o spruzzi d’acqua sul viso per un’immersione totale: è un’esperienza particolarmente richiesta delle famiglie, piace molto ai bambini, ed è perfetta per i film d’azione. Anche il 3D funziona ancora bene in Messico. Quest’anno abbiamo poi inaugurato le nostre sale Imax. Da noi gli spettatori non sono clienti, ma ospiti: persone che non solo vogliano vedere un buon film, ma vivere un’esperienza per la quale valga la pena alzarsi dal divano, uscire e spendere tre o quattro dollari. Per questo motivo, reinvestiamo tutti i nostri profitti. Quello dell’esercizio cinematografico è un settore che richiede molto capitale perché è in continua evoluzione e aggiornamento. Ora, ad esempio, stiamo passando ai proiettori laser. È necessario investire molto per mantenere alto il livello dell’esperienza. La chiave è fare in modo che l’ospite si diverta ogni volta che vede un film, grazie anche alla migliore tecnologia possibile, al massimo del comfort, al miglior popcorn, alla miglior bibita, alla birra più buona».

In che modo rendete “ospiti” quelli che normalmente vengono chiamati “clienti”?
«Il concetto di “ospite” si basa sull’idea che lo spettatore venga a casa tua, che sia un tuo parente o un tuo amico. Noi non vendiamo loro qualcosa, ma li invitiamo nelle nostre sale per offrirgli un’esperienza. Senza dubbio stanno pagando per questo, ma cerchiamo in primis di farli sentire a casa quando vengono in un multiplex Cinemex. Questa filosofia è stata sposata fin dal primo giorno: vieni a casa nostra, divertiti con noi, trascorri del tempo con noi».

Nel vostro decalogo dite che gli “ospiti” saranno sempre accolti con un sorriso. Quanto un buon servizio clienti è essenziale?
«Cinemex è la sua gente, sono le persone che lavorano con noi. Possiamo avere la migliore tecnologia e le migliori poltrone, ma se gli impiegati non sono felici, non serve a nulla. In quanto ospiti, gli spettatori vanno accolti sempre con un sorriso. La nostra filosofia, quando assumiamo qualcuno, è che venga a divertirsi. La maggior parte dei ragazzi del nostro staff sono studenti, e cerchiamo di rendere le cose divertenti. Il cinema è intrattenimento, e chi ti vende le bevande o il biglietto deve sorriderti. Il cliente è il principale driver, e se si sente ben accolto, spenderà di più per una poltrona migliore o comprerà popcorn più grandi. Andare al cinema è un momento di relax. Quando vai al cinema non ti preoccupi della dieta perché è un momento di svago in cui evadi dai problemi quotidiani che tutti possiamo avere. Regaliamo due ore di intrattenimento in cui ti immergi nel ruolo del protagonista, del supereroe di turno, vivendo in prima persona avvenimenti come una storia d’amore o un’avventura».

Quali caratteristiche rendono unico il mercato messicano?
«In Messico ci sono due grandi gruppi di esercizio che insieme detengono oltre il 92% del mercato. Competiamo costantemente per essere i migliori. In Spagna, Brasile o Stati Uniti, il mercato è  diviso in molte più aziende ed è molto difficile guadagnarsi una quota di mercato. Il Messico è un paese cinefilo, al quarto posto al mondo per consumo di cinema dopo Stati Uniti, India e Cina, in termini di presenze. Se contiamo gli incassi, scendiamo al decimo posto ma questo perché il nostro prezzo d’ingresso è basso, tra i 3 e i 4 dollari. I messicani sono ferventi consumatori di cinema. E di questo consumo, l’85% è per film made in USA, mentre solo il 7 o 8% è per le produzioni locali».

Dopo la  pandemia, come sono cambiate le abitudini di consumo degli spettatori cinematografici in Messico?
«La pandemia ha dato un impulso al consumo di contenuti in  streaming. Credo, tuttavia, che non vi sia una competizione tra theatrical e piattaforme; piuttosto, sono  due tipi di consumo complementari. Il 2019 è stato un anno eccezionale in tutto il mondo per il consumo di film in sala e anche in Messico abbiamo battuto molti record: solo come Cinemex abbiamo staccato oltre 115 milioni di biglietti. Nel 2018 avevamo registrato invece circa 100 milioni di presenze; ecco, questo è il nostro obiettivo per il 2024. Rispetto al 2022, nel 2023 siamo cresciuti del 38%: si tratta di una ripresa molto importante dopo alcuni anni difficili. Eppure siamo lontani dal 2019, assestandoci al 65-67% di quegli incassi; rispetto al 2018, la percentuale è dell’80%. Ci mancano insomma quei 20 punti percentuali per cui stiamo lottando, in primis migliorando la qualità tecnologica e del servizio. La ripresa, però, è  lenta: per il 2024 prevediamo di rimanere ai numeri del 2023, soprattutto a causa degli scioperi degli attori e degli sceneggiatori negli Stati Uniti. Ma nel 2025 le aspettative sono di tornare ai numeri precedenti alla pandemia».

Cinemex dà molto valore alle iniziative di beneficenza, come il progetto “Cine Vagón” che, su un treno, porta il cinema negli  angoli più remoti del Messico. Come è nato questo progetto?
«In Messico molte persone non hanno la possibilità di andare al cinema quindi ci è sembrato importante lanciare questa iniziativa. Tutto è nato insieme al “Doctor Vagón”, un progetto della Fondazione Grupo México – anche gestore della rete ferroviaria  del Paese –  che ha allestito un treno di circa 25 vagoni in grado di erogare diversi servizi sanitari come visite specialistiche, analisi cliniche, tomografie, e raggiungere le comunità più isolate, quelle  da  5-6mila abitanti. Nell’ultimo vagone del “Doctor Vagón”, si trova il “Cine Vagón”; una sala-itinerante con bibite, popcorn e un proiettore che porta il cinema in comunità dove spesso le persone non hanno mai avuto l’opportunità di vedere un film su grande schermo. Gli spettacoli sono gratuiti. Facciamo due giri del Paese ogni anno. Nella filosofia aziendale di Cinemex l’attenzione per il sociale è fondamentale, cerchiamo di sensibilizzare su diverse tematiche sociali anche con spot prima delle proiezioni. Il cinema e l’intrattenimento, per noi, sono divertimento ma anche terapia».

Un’altra delle vostre iniziative è la “Carrera Cinemex” a Città del Messico. Come la sviluppate?
«In Messico c’è una cultura del running molto importante. Organizziamo questa corsa di 10 e 15 chilometri dove ogni chilometro del percorso è “tematizzato” con i film in uscita. Portiamo il cinema per strada affinché la gente per strada venga al cinema».

Prima ha detto che la quota di mercato dei film USA in Messico è predominante. Qual è, invece, il peso e il ruolo del cinema nazionale?
«Essendo così vicini agli Stati Uniti, viviamo sotto la loro influenza culturale e tendiamo a consumare di più il loro prodotto. Lo abbiamo vissuto fin da bambini, molti programmi televisivi vengono da lì. Per fortuna, ogni tanto arrivano dei film messicani che rompono certi paradigmi, il pubblico li accoglie come propri, e nascono dei grandi successi. Da non dimenticare che abbiamo anche una star molto popolare come Eugenio Derbez, che, con la sua sola presenza, riesce a smuovere tantissimi spettatori. Ma Derbez non può fare tutti i film. Tra il 2000 e il 2015 la quota nazionale era del 15%: è stato un periodo record, grazie a un boom di buone commedie e horror. Non solo, perché il cinema messicano vanta anche grandi registi come Guillermo del Toro o Alejandro González Iñárritu che hanno raggiunto un pubblico internazionale più ampio. Il limite del cinema messicano sta nel pensare al solo pubblico nazionale: le nostre produzioni non sono progettate per parlare anche a spettatori stranieri. In Messico vengono prodotti tra i 100 e i 120 film all’anno, di cui solo 70-80 hanno una distribuzione in sale, e di questi pochissimi riescono a viaggiare nei mercati esteri. Siamo all’opposto del cinema francese, il secondo più esportato dopo quello americano, che è in grado di produrre film pensati ad hoc per viaggiare nelle sale di tutto il mondo. In Messico produciamo invece film per piccole nicchie locali. Di fatto mancano sceneggiatori in grado di costruire storie universali: è un deficit importante. Speriamo che la situazione migliori, in primis per rendere il nostro mercato meno dipendente dal cinema statunitense, e poi perché il cinema messicano è una parte fondamentale per costruire la nostra identità nazionale. Dobbiamo fare di più ed essere più costanti in questo ambito».

Negli ultimi tempi sono circolati alcuni rumors su una vostra possibile espansione in Spagna e in Italia. Cosa può dirci in merito?
«Al momento non abbiamo piani di espansione nel mercato spagnolo e italiano. Piuttosto, oltre a consolidarci in Messico, il nostro obiettivo principale è crescere ancora negli Stati Uniti per poi sbarcare anche in Sud America. Detto questo, i rumor su Italia e Spagna sono fondati:  circa otto anni fa abbiamo iniziato a guardare a questi due mercati, ma  abbiamo riscontrato diverse criticità, non ultima la differenza di fusi orari che avrebbe complicato la gestione. Per il momento vogliamo concentrarci su Stati Uniti e Sud America. Poi vedremo».

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