Renzo Piano: «Dobbiamo salvare le sale»

L'architetto e senatore a vita Renzo Piano ha inviato una lunga lettera a Repubblica in difesa delle sale. Trovano spazio anche le proposte di Francesca Comencini e altri autori sullo stesso tema
renzo pianoCr. Laura Lezza/Getty Images

Il celebre architetto e senatore a vita Renzo Piano ha scritto una lunga lettera a Repubblica, un appello «affinché i cinema, questi preziosi luoghi per la gente, siano preservati nel tessuto urbano delle nostre città, e in particolare quelli di Roma». Fa seguito alle polemiche e alle discussioni emerse negli ultimi tempi circa la possibilità che la Regione modifichi le destinazioni d’uso dei vecchi impianti, contro la quale si sono esposti decine e decine di attori, registi e altri esponenti del mondo cinematografico e televisivo italiano.

«Penso che il lungo contenzioso sulla tutela della destinazione d’uso delle sale cinematografiche romane, ma anche parigine, sia il punto di una possibile redenzione urbana – ha scritto – Quelle cubature, attive o abbandonate che siano, rappresentano gli ultimi polmoni di ossigeno per le nostre città, sempre più sature di automobili, centri commerciali, alberghi e case vacanza. L’apertura alla riconversione di quelle aree diventerà in pochi anni la pietra tombale delle nostre metropoli, danneggiando tutto, incluso il commercio al dettaglio. Se i cinema potranno essere riconvertiti, dopo qualche anno di chiusura, in luoghi esclusivamente volti al profitto, il valore di quegli immobili lieviterà, e il tramonto di luoghi di cultura essenziali, come le sale cinematografiche, sarà inevitabile».

E ancora: «Questo porterà i proprietari delle mura a preferire la rescissione dei contratti con i gestori delle attività culturali e la chiusura di quelle strutture per anni, al fine di attendere un maggiore guadagno grazie alla riconversione. Da un rapido calcolo, fatto qui a Parigi, un canone d’affitto medio per una sala cinematografica di 5.000 euro al mese per 15 anni rende circa 900.000 euro, mentre lo stesso locale, riconvertito, può arrivare a un valore di oltre 10 milioni. Credo che lo stesso calcolo valga anche per Roma».

Il suo appello prosegue poi così: «Oggi, come in passato, è essenziale riconoscere l’importanza dei nostri spazi culturali, a Roma come in tutte le capitali d’Europa. Così come è essenziale intraprendere un cambiamento profondo per restituirli alla loro grandezza originaria e permettere ai cittadini di costruire insieme un nuovo mondo, oggi immaginario. Non si possono lasciar andare tutti quei luoghi all’interno dei quali la comunità si crea, si fortifica e insieme riporta al di fuori di sé lo spazio che diventa città. L’errore che sta facendo, spesso purtroppo, la politica è di vedere tali strutture solo come cinema, dimenticando che la loro destinazione d’uso è più vasta (teatri, cinematografi, sale per concerti, spettacoli teatrali e simili) e che potrebbero trasformarsi in quelli che, qui in Francia, si definiscono tiers-lieux (terzi luoghi)».

Renzo Piano cita inoltre l’esperienza del Piccolo America, che a suo giudizio insegna una cosa fondamentale: «Ciò che è nato illegalmente da una necessità sociale, salvare dalla riconversione il vecchio Cinema America può diventare un motore economico per la città, se posto nel giusto terreno. Oggi il Cinema Troisi con la sua aula studio libera e gratuita è un pronto soccorso urbano: è l’urbanità, è il valore civico della città». L’architetto evidenzia poi un ulteriore problema: «Per quel che mi risulta, da quando l’amministrazione ha proposto la norma che ha aperto questo contenzioso, diverse agenzie immobiliari stanno segnalando che il valore degli scheletri degli ex cinema è raddoppiato o persino triplicato. Non mi sorprende, perché questo è stato in gran parte evitato nella regione parigina». La lettera si conclude così: «Il cinema è la più popolare forma d’arte e i cinematografi sono i luoghi in cui si celebra il più bello dei miracoli, stare assieme e condividere delle emozioni».

Nelle stesse pagine di Repubblica trovano spazio anche le proposte di Francesca Comencini e dei 100autori di cui è presidente. La lettera-appello è indirizzata anche in questo caso al presidente della Regione Lazio Francesco Rocca e parte dall’assunto che «Preoccupano molto le notizie secondo cui si sta lavorando a una legge che modificherò le norme sul cambio di destinazione e uso delle sale chiuse. Per noi il cinema, anche il luogo fisico che lo rappresenta, o lo ha rappresentato, è sempre un potenziale di espressione culturale e di ritrovo sociale».

Da qui partono tre proposte, che riportiamo integralmente di seguito:

  • Sull’eliminazione del limite di tempo secondo il quale il vincolo di destinazione d’uso resta valido per 30 anni, la valutazione potrebbe non essere automatica ma affidata a un comitato di cui facciano parte anche gli autori, i produttori, e un rappresentante della cittadinanza responsabile del territorio.
  • La ricerca di un punto di incontro con la nuova normativa per quelle strutture che permettono un aumento di cubatura: ovvero di avere almeno il 70% della cubatura esistente a destinazione vincolata, (invece del 50%) potendo recuperare grazie a un aumento di cubatura spazio da destinare ad esercizi diversi da quelli strettamente cinematografici.
  • La condivisione di un principio che dovrebbe valere sia per gli edifici chiusi da oltre 15 anni (che ora hanno possibilità di essere riconvertiti al 100%) sia per le strutture chiuse da meno di 15 anni o aperte, ovvero destinare gli spazi chiusi ad attività culturali. L’idea è quella di aprire spazi polifunzionali che comprendano, oltre alle sale, librerie, biblioteche, spazi studio, teatrali, musicali, di attività d’arte e cultura in senso ampio che quindi siano indirizzati ad accogliere la comunità e a offrire uno spazio culturale per tutte le generazioni. Vorremmo che gli spazi tornino a essere abitati dalla comunità come luogo di incontro, scambio e punto di riferimento per la collettività. I cosiddetti “terzi luoghi” di cui hanno già parlato molti nostri colleghi.

Fonte: Repubblica

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