Trump contro Hollywood: tra propaganda, dazi e un nuovo “codice morale”

L’annuncio di tariffe al 100% sui film prodotti all’estero preoccupa gli studios e le istituzioni californiane, che puntano invece su miliardi di incentivi. Nel quadro si inserisce anche la proposta di Jon Voight, ambasciatore del Presidente che ha presentato un piano intitolato "Make Hollywood Great Again"  
Donald Trump contro HollywoodCr. Shuttershock / Andrew Harnik (Getty Images)

Con un post su Truth Social pubblicato il 4 maggio, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato l’intenzione di imporre pesanti dazi sui film e sulle serie televisive prodotti fuori dagli Stati Uniti. Secondo Trump, il fenomeno del runaway production costituirebbe un “pericolo per la sicurezza nazionale” e rappresenterebbe una delle cause della “morte accelerata” dell’industria cinematografica americana. L’intervento, formulato senza dettagli operativi né riscontri normativi al momento, si inserisce però in una strategia politica più ampia: accreditarsi come difensore dell’industria nazionale, accendendo allo stesso tempo un nuovo fronte simbolico contro Hollywood, percepita da Trump e dalla sua base come un baluardo culturale ostile – negli ultimi giorni ha annunciato anche tagli ad un’istituzione universitaria come Harvard, per motivi simili. Nel merito, la proposta per ora appare più retorica che pragmatica. Nessuna misura ufficiale è stata avviata né discussa con i principali operatori del settore. Tuttavia, l’annuncio ha avuto l’effetto immediato di destabilizzare l’ambiente industriale e sollevare preoccupazioni, in particolare tra i produttori indipendenti che da anni ricorrono ai sistemi di incentivi esteri per contenere i costi e mantenere la competitività.

A replicare in modo istituzionale è stato il governatore della California Gavin Newsom, che in una nota diffusa il giorno successivo ha definito “inapplicabile e incostituzionale” l’eventuale imposizione di dazi da parte del governo federale sulla base della destinazione produttiva delle opere audiovisive. Newsom ha rilanciato proponendo invece un piano federale di incentivi pari a 7,5 miliardi di dollari, modellato sull’esperienza californiana, con l’obiettivo di sostenere e riportare in patria le produzioni senza ricorrere a misure punitive. I dati certificano che l’occupazione in California è calata del 22% negli ultimi tre anni, quindi qualcosa va effettivamente fatto per riaccendere i riflettori sulla città del Cinema, ma per Newsom la risposta non sono i dazi. Il governatore ha sottolineato come stati come Georgia, Louisiana e New Mexico abbiano ormai consolidato sistemi di attrazione efficaci, mentre la California – storica capitale dell’entertainment – continua a soffrire la concorrenza, nonostante le riforme fiscali approvate negli ultimi anni. Il piano Newsom mira proprio a riequilibrare questa dinamica, puntando su un intervento strutturale e non su una misura emergenziale.

L’annuncio di Trump ha provocato immediate reazioni da parte delle principali associazioni industriali e delle maestranze. La SAG-AFTRA, tramite il suo direttore esecutivo Duncan Crabtree-Ireland, ha dichiarato di essere aperta al dialogo con l’amministrazione federale, ma ha ribadito la necessità che ogni intervento rispetti l’equilibrio dell’intero ecosistema produttivo, incluse le collaborazioni internazionali. Anche IATSE, il potente sindacato dei tecnici, ha espresso “seria preoccupazione” per gli effetti distorsivi che un sistema di dazi potrebbe generare. Dal fronte finanziario, l’annuncio ha avuto ripercussioni immediate: le azioni dei principali conglomerati media hanno subito flessioni, con analisti che parlano di “rischio sistemico” per l’industria, già alle prese con l’instabilità del modello streaming e con il ridimensionamento della finestra cinematografica.

Tra gli interventi più duri c’è quello di Bill Mechanic, ex CEO di Fox Filmed Entertainment e produttore di film come Hacksaw Ridge e Coraline. In una guest column pubblicata da Deadline, Mechanic ha smontato punto per punto la proposta di Trump, definendola una “manovra propagandistica” priva di fondamento giuridico e industriale. Secondo Mechanic, i dazi penalizzerebbero proprio quei segmenti – in particolare la produzione indipendente – che tengono in vita la varietà e l’innovazione del cinema americano. «Trump – scrive Mechanic – non ha mai avuto alcun rapporto reale con Hollywood, se non quello del provocatore. L’idea che girare un film in Australia rappresenti una minaccia alla sicurezza nazionale è non solo assurda, ma pericolosa». Nel suo intervento, il produttore ricorda come molti film americani abbiano potuto essere realizzati solo grazie agli incentivi internazionali, citando il caso emblematico di Hacksaw Ridge, girato integralmente in Nuovo Galles del Sud per esigenze di budget. «Con un sistema di dazi, quel film non sarebbe mai stato fatto» ha aggiunto.

In parallelo alla polemica sui dazi, si inserisce anche la proposta avanzata dall’attore Jon Voight, storico sostenitore di Trump e scelto dal POTUS come “ambasciatore”, che come riportato da The Hollywood Reporter ha consegnato alla Casa Bianca un piano intitolato Make Hollywood Great Again. Il documento, i cui dettagli non sono ancora stati resi pubblici integralmente, prevede una riforma “etica e patriottica” dell’industria cinematografica, con l’obiettivo dichiarato di «ripulire i contenuti corrotti e decadenti» della produzione contemporanea e promuovere valori considerati più “tradizionali”. Sebbene l’iniziativa sia stata finora trattata con scetticismo dai principali operatori del settore, alcuni commentatori l’hanno letta come un tentativo di trasformare lo scontro economico in una battaglia culturale più ampia, in linea con la retorica trumpiana che spesso dipinge Hollywood come simbolo di un’élite progressista da ridimensionare.

Il settore audiovisivo statunitense, già provato da anni di trasformazioni strutturali, si trova ora nel mezzo di una nuova tempesta politica. Da un lato emergono proposte concrete per rilanciare la produzione nazionale, come il piano Newsom citato da Variety, dall’altro cresce il timore che iniziative come quelle annunciate da Trump finiscano per aggravare le difficoltà, colpendo soprattutto le realtà più fragili del comparto. In gioco non c’è solo la geografia della produzione, ma l’idea stessa di cosa significhi oggi “fare cinema americano”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
In caso di citazione si prega di citare e linkare boxofficebiz.it