Dalla sua pubblicazione ufficiale lo scorso 14 agosto, il cosiddetto “nuovo tax credit” ha suscitato accesi dibattiti e polemiche. L’intero settore audiovisivo italiano condivideva che la regolamentazione sul credito di imposta alla produzione di film e serie Tv, così come era stata concepita dalla Legge Franceschini del 2016, necessitasse un “tagliando” per correggere sprechi e storture, tuttavia, il testo del decreto interministeriale MiC e MEF di quest’estate aveva lasciato – per usare un eufemismo – molte perplessità. Perplessità che il settore stesso sperava venissero almeno in parte attenuate grazie ai successivi decreti direttoriali.
Così non è stato. Dopo un’attesa di un paio di mesi, lo scorso ottobre il MiC ha pubblicato le direttive relative alla nuova riforma, e molte problematiche sono rimaste, tanto che alcune società hanno fatto ricorso al TAR. Ricorso che è stato accolto in via cautelare dal tribunale che però ha deciso di non sospendere il decreto fissando «per la trattazione del merito del ricorso l’udienza pubblica del 4 marzo 2025».
Dunque, al momento il nuovo tax credit resta operativo. Ultimo aggiornamento in merito è arrivato dalla Sottosegretaria Lucia Borgonzoni che, in un’intervista a Il Sole 24 Ore di qualche giorno fa, ha annunciato l’arrivo di un nuovo correttivo «in cui sono stati reinseriti una serie di punti usciti dai tavoli».
In attesa di questo ulteriore nuovo correttivo, di seguito la nostra analisi dei decreti direttoriali pubblicati nei mesi scorsi.
IL POKER DEI DECRETI
Come noto, sono quattro i decreti direttoriali pubblicati e, nel dettaglio, trattano i seguenti temi:
• il decreto n. 3361 contiene le disposizioni in materia di requisiti dei soggetti abilitati alla certificazione e del contenuto delle certificazioni;
• il decreto n. 3362 contiene le disposizioni in materia di versamento del contributo per le spese istruttorie previste ai fini della presentazione delle domande di concessione dei benefici di cui alla legge 220/2016 e, in particolare, dei benefici di cui all’art. 15 della legge citata;
• il decreto n. 3363 – quello più corposo e importante – contiene le disposizioni in materia di: ulteriori disposizioni applicative e integrative relativamente ai requisiti minimi di circuitazione cinematografica; festival di rilevanza internazionale e caratteristiche minime del fornitore di servizi media audiovisivi – opere cinematografiche; festival di rilevanza internazionale e caratteristiche minime del fornitore di servizi media audiovisivi – documentari; festival di rilevanza internazionale e caratteristiche minime del fornitore di servizi media audiovisivi – opere di animazione; festival di rilevanza internazionale e caratteristiche minime del fornitore di servizi media audiovisivi – cortometraggi;
• il decreto n. 3364 contiene le disposizioni in materia di: primaria società di distribuzione cinematografica; rendicontazione delle singole prestazioni eseguite dal service; credito d’imposta massimo per singolo soggetto; copertura finanziaria; società di distribuzione cinematografica specializzate in documentari; società di distribuzione cinematografica specializzate in opere di animazione; società di distribuzione cinematografica specializzate in cortometraggi; modalità di presentazione istanze e requisiti per l’idoneità; elementi e documentazione per la richiesta preventiva; elementi e documentazione per richiesta definitiva; elementi e documentazione per richiesta definitiva in assenza di preventiva
Ora entriamo nel dettaglio dei vari decreti per metterne in luce gli aspetti salienti e le criticità.
LE REGOLE (IRREALISTICHE?) SULLA CIRCUITAZIONE NELLE SALE
Una delle novità introdotte dal nuovo tax credit è l’obbligo di rispettare determinati requisiti di circuitazione delle opere beneficiarie del credito d’imposta nelle sale cinematografiche ed evitare così che, film finanziati coi soldi pubblici, vengano visti da pochi se non pochissimi spettatori. Un intento certamente legittimo, peccato che i requisiti di distribuzione stabiliti dal D.D.3363 dettino delle condizioni poco realistiche. Secondo l’art.2, i requisiti minimi di circuitazione cinematografica, sia per i film che costano più di 3,5 milioni di euro sia per quelli che costano meno, prevedono l’obbligo di un contratto di distribuzione per un numero di proiezioni in almeno 80 sale (o 50 per produzioni a basso budget), nella fascia oraria 18:30-21:30, entro due settimane dalla prima uscita.
Ecco, le perplessità e i dubbi al riguardo sono diversi. In primis, se l’esercente – che non firma alcun contratto con il produttore – decide di smontare il film, o anche solo di spostarlo di orario, a fronte di incassi bassi, o secondo legittime logiche commerciali, il produttore perde il tax credit? E poi, non tutti i film sono uguali e hanno nella fascia serale la propria massima attrattività: nel caso di film destinati prevalentemente a un target kids/family, di norma, lo spettacolo dal potenziale più alto è il primo del pomeriggio. Perché essere costretti a rinunciare, o comunque a non poter contare, su tale orario?
C’è poi un dubbio anche sulle “80 sale” perché se il decreto parla di “sala cinematografica” la definizione della stessa di sala data dalla Legge 220/2016 è la seguente: “qualunque spazio, al chiuso o all’aperto, adibito a pubblico spettacolo cinematografico”. Non è pertanto chiaro:
1) se il numero di proiezioni si riferisce alla “struttura cinema”, e dunque anche alle multisale che possono avere in programmazione lo stesso film su più schermi o in orari diversi (in tal caso, poi, viene conteggiata come un’unica proiezione?)
2) se ci si riferisce allo schermo, e pertanto si possono raggiungere i numeri previsti anche proiettando il film in pochissimi cinema che però hanno tante sale/schermi. In tal caso, è ovvio che le società di distribuzione preferiscano accordarsi con multiplex che assicurino più schermi, e quindi più proiezioni, nella stessa giornata.
Diverse perplessità sorgono anche sulle tempistiche, ovvero sull’obbligo del raggiungimento degli obblighi previsti nell’arco di due settimane. Ad eccezione dei film più “commerciali”, che nella gran parte dei casi attirano più pubblico proprio nei primissimi giorni di programmazione, per moltissimi altri titoli – quelli che potremmo definire più “difficili”, dunque le medie produzioni che sono la maggioranza dei film italiani – è molto difficile riuscire a esprimere il proprio potenziale e attrarre spettatori nei suoi primi 15 giorni. Per questi film (sempre con un budget superiore a 3,5 milioni di euro, ma comunque di natura meno commerciale), sarà davvero complicato raggiungere le previsioni dettate dal decreto. E questo per vari motivi: le società di distribuzione difficilmente stipuleranno un contratto per questo tipo di film; quasi sempre sono le sale d’essai, spesso monosale o piccole multisale, a proiettare questa tipologia di prodotto, e il successo di questi film si costruisce spesso con il passaparola che ha bisogno di tempo per crescere progressivamente.
Le stesse perplessità rimangono anche per i film di costo inferiore a 3,5 milioni, anche se in questo caso il numero di proiezioni richiesto è inferiore.
Il fatto che si tratti di richieste abbastanza irrealistiche è, paradossalmente, ben chiaro anche a chi quelle stesse regole le ha scritte visto che nello stesso decreto al comma 4 del medesimo articolo 2, si prevede che, in caso di mancato rispetto dei requisiti previsti, “in conseguenza di fatti sopravvenuti e imprevedibili o comunque di impedimenti oggettivi, ivi compresi gli inadempimenti del terzo – l’esercente?, nda – non direttamente imputabile alla società di produzione, il produttore può presentare istanza di deroga documentata”.
Fatta la regola, trovato l’inganno? Be’, di sicuro è facile immaginare che le richieste di deroghe saranno moltissime, sia da parte di chi effettivamente ha riscontrato impedimenti imprevisti, sia da parte di chi, pur sapendo che il proprio film non avrebbe mai avuto la distribuzione prevista (indipendentemente da cosa viene scritto nel contratto con il distributore) sa già di poter aggirare facilmente la previsione. E ciò nonostante lo stesso decreto precisi che alla richiesta di deroga “ può far seguito un contraddittorio teso a verificare l’idoneità della documentazione presentata, nonché la buona fede del produttore”.
Focalizzandoci sui film a basso budget, per le produzioni (anche di animazione) di costo inferiore a 1,5 milioni di euro, e per i documentari di costo inferire a 1 milione, si ribadisce che, per i titoli per i quali viene presentata la richiesta di tax credit entro il 31 dicembre 2024, i requisiti di circuitazione sono soddisfatti se per l’opera è stato sottoscritto un accordo con un fornitore di servizi media audiovisivi (cosa non facile, soprattutto per i film più difficili, e che può costringere il produttore a svendere il prodotto per ottemperare all’obbligo) o se l’opera è stata presentata in un festival contenuto nella lista allegata al decreto che regola i contributi automatici (DM 15 luglio 2021, n. 251). Peccato che la lista in questione sia obsoleta, e ne è cosciente anche il legislatore, che infatti prevede, per il 2025, un ulteriore decreto con l’indicazione dei festival internazionali riconosciuti a tali fini. Tutto questo, però, crea altra incertezza. Non sarebbe stato meglio pubblicare già ora tale lista? A
leggere tutti questi obblighi sulla circuitazione delle opere beneficiarie nelle sale, ma anche nei dibatti generali sul tema del tax credit, viene da evidenziare come, in generale, si sia legato eccessivamente il successo del film al numero di spettatori in sala, senza tener conto che molti titoli ottengono il loro ulteriore (se non principale) sfruttamento e visibilità nei passaggi successivi al grande schermo. Dunque sulle piattaforme, e non necessariamente solo quelle a pagamento come Netflix, ma anche quelle ad accesso gratuito come RaiPlay o Mediaset Infinity. Pertanto, appare inesatto conteggiare solo il numero di spettatori in sala quale principale parametro per misurare il successo di un film.
L’OBBLIGO (ANTICONCORRENZIALE?) DI CONTRATTO CON LE PRIME 20 SOCIETÀ DI DISTRIBUZIONE
Altra novità molto importante e che ha suscitato molto fermento è quella dell’obbligo di avere un contratto di distribuzione nelle sale con una fra le prime 20 società in termini di incassi operanti in Italia. Si tratta di un obbligo vincolante per accedere al tax credit; e non è finita, perché il contratto di distribuzione, come viene specificato al successivo art. 10 del D.D. 3364, deve essere sottoscritto prima della presentazione della richiesta dello stesso tax credit.
Ma come viene decisa, nello specifico, la lista di questi 20 “top player”? Nell’art.2 del D.D. 3364 viene ribadita la definizione di primaria società di distribuzione cinematografica, introdotta per la prima volta nella normativa che regola il settore dal DM Tax Credit del 10 luglio 2024 n. 225: «primaria società di distribuzione cinematografica è la società di distribuzione cinematografica, avente codice Ateco 59.13, che risulti essere una delle prime venti società di distribuzione in termini di incassi realizzati dalle opere da essa distribuite nelle sale cinematografiche nelle due annualità che precedono l’anno di riferimento, secondo le ulteriori specifiche previste nel decreto direttoriale di cui all’articolo 38, comma 1, del presente decreto, che disciplina anche le modalità con cui, ai fini del presente decreto, sono considerate equiparabili alle predette venti società ulteriori società di distribuzione di nuova costituzione aventi adeguati requisiti».
Obbligare a scegliere tra sole 20 società è una limitazione notevole delle regole di mercato e della concorrenza, e infatti, da più parti, sono stati sollevati dubbi sulla legittimità di tale regola tanto da valutare un eventuale intervento dell’Antitrust. Ma soprattutto, con questa concentrazione su 20 società si va ad ostacolare la nascita o la crescita di nuove realtà o piccole case di distribuzione. Proprio in quest’ultimo anno, tra l’altro, abbiamo visto nuovi soggetti – da Be Water Film a PiperFilm – entrare nel mercato distributivo italiano: queste aziende saranno escluse? Ovviamente non è possibile tagliarle fuori, ma, per poterle inserire, il MiC ha dovuto annunciare un ulteriore decreto attuativo del decreto attuativo – sì, sembra un gioco di scatole cinesi – che definirà i requisiti relativi alle società di nuova costituzione equiparabili alle primarie società. E in tutto ciò, un elenco definitivo di queste 20 società primarie di distribuzione, al momento in cui scriviamo, non è stato ancora pubblicato.
Tornando alle società più piccole che non rientrano nella Top 20, è davvero deleterio per la pluralità e vivacità della nostra industria che il nuovo tax credit non voglia tener conto dell’esistenza e del valore delle società di distribuzione indipendenti. Società indipendenti che, seppur con volumi di incassi inferiori alle società primarie, svolgono un lavoro altrettanto importante nel dar visibilità a film di qualità, selezionati quasi sempre nel circuito dei festival internazionali, certo indirizzati a un pubblico più di nicchia, ma di grande valore artistico. Queste società sono destinate al fallimento? Per fortuna, gli articoli 6 e 7 indicano i requisiti delle società di distribuzione di documentari e animazione equiparate a quelle “primarie”, e in questo caso le previsioni appaiono del tutto condivisibili.
COPERTURA FINANZIARIA
Come scritto nell’art. 5, l’accesso al tax credit viene limitato alle opere per le quali viene assicurata una copertura finanziaria secondo quanto indicato nel DM del 10 luglio, vale a dire il 40% del costo di produzione per i film, il 50% per le opere audiovisive, il 30% per le opere in animazione.
In alternativa alla copertura finanziaria, la produzione può accedere al tax credit se ha ottenuto un contributo selettivo a valere sui bandi pubblicati dal 2024 in poi (peccato che nel momento in cui stiamo scrivendo a metà novembre non è stata fatta ancora alcuna assegnazione, anche perché la commissione è stata nominata solo a fine settembre…).
Questa limitazione viene mitigata dalla previsioni contenute al comma 3 del medesimo art. 5, ma restano alcuni dubbi in quanto viene specificato che concorrono alla copertura finanziaria, tra le altre, l’apporto diretto del produttore, comprovato da lettera bancaria recente o estratto conto. Ma che garanzia può dare un estratto conto, che può mutare subito dopo la presentazione della domanda? E per quanto tempo la somma dichiarata deve rimanere sul conto corrente? Il produttore dovrà pur utilizzare un po’ di quel capitale per produrre il suo film. O basta fare la “fotografia” dell’estratto conto al momento della presentazione, casomai dopo il versamento di una somma in prestito, che subito dopo viene tolta dal conto? Sembra semplicemrnte una previsione senza senso.
Infine, alla lettera e) si prevede la possibilità di conteggiare, ai fini della copertura finanziaria del 40%, anche i contributi regionali e automatici, purché “contabilizzati nel rispetto dei corretti principi contabili e che hanno concorso alla formazione del risultato di esercizi precedenti ovvero destinati a concorrere alla formazione del risultato dell’esercizio in corso”. Vale a dire che possono essere già trascritti in bilancio i contributi assegnati anche se non certi non solo nell’entità (i contributi potrebbero essere ridotti, revocati, ecc), ma neanche confermati finché l’opera non viene prodotta secondo la tempistica e le previsioni contenute nei bandi. Molto più sensato sarebbe stato prevedere semplicemente di ritenere validi i contributi deliberati.
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