Le società private non possono svolgere attività di monitoraggio sistematico per individuare gli utenti che si scambiano file su Internet col sistema peer to peer. Lo ha stabilito il Garante della privacy a conclusione dell’istruttoria relativa alla Peppermint, la casa discografica tedesca che, tramite una società d’informatica svizzera, aveva fatto controllare sistematicamente le reti p2p al fine d’individuare gli internauti giudicati responsabili di scambio illegale di file e chiedere loro il risarcimento dei danni. Secondo Altroconsumo gli utenti italiani coinvolti sarebbero stati circa 4 mila, a ciascuno dei quali Peppermint avrebbe chiesto di pagare 330 euro di multa. Il Garante, ricalcando la decisione della corrispondente autorità svizzera, ha però decretato l’illiceità dell’attività svolta dalle due società. Le motivazioni fanno riferimento alla direttiva europea sulle comunicazioni elettroniche, che vieta ai privati di effettuare monitoraggi capillari e prolungati nei confronti di un numero elevato di soggetti, e alla violazione del principio di finalità, secondo il quale, essendo le reti p2p utilizzate per lo scambio di file per scopi personali, l’uso dei dati degli utenti può avvenire soltanto per queste finalità. Inoltre secondo l’autorità non sono stati rispettati i principi di trasparenza e correttezza. Le società artefici del monitoraggio dovranno cancellare entro il 31 marzo i dati personali raccolti.
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