Marco De Micheli: «Un nuovo metodo per comunicare»

L'amministratore unico dell'agenzia di comunicazione Demba Group evidenzia le differenze nella costruzione delle campagne marketing tra cinema e piattaforme, invitando a ripensare i processi creativi

Di seguito un estratto dell’intervento di Marco De Micheli, amministratore unico dell’agenzia di comunicazione Demba Group, pubblicato sul numero speciale di Box Office del 15-30 gennaio (n. 1-2), realizzato in occasione dei 25 anni della rivista. Per leggere il testo integrale, scaricare la versione digitale dall’app di Box Office su Google Play e App Store, o abbonarsi direttamente alla versione cartacea della rivista.

«Le piattaforme sanno indubbiamente “eventizzare” molto bene i loro prodotti di punta, con una notevole diversificazione di materiali e contenuti ed una particolare attenzione allo storytelling dei propri titoli», scrive sulla rivista Box Office Marco De Micheli, amministratore unico dell’agenzia di comunicazione Demba Group. «Probabilmente è anche per questa ragione che, rispetto a quanto avviene spesso nel cinema, la comunicazione di piattaforma è percepita come più emotiva e meno promozionale, in quanto gioca con registri diversi e molteplici modalità di linguaggio. Ovviamente ciò è possibile anche a fronte di investimenti economici sicuramente importanti e significativi. C’è però che quella delle piattaforme è più una comunicazione di brand che di prodotto, in quanto il loro scopo è principalmente incentivare gli abbonamenti: utilizzano il contenuto sostanzialmente per rafforzare il marchio, che è il contenitore. Inoltre, quando si hanno tanti titoli non si riesce a comunicarli tutti allo stesso modo, a dare pari visibilità, e si opera una scelta strategica che spesso significa anche penalizzare il quadro delle uscite minori, o comunque non considerate primarie.

(© iStock)

Basti pensare che Netflix in Italia rilascia circa trenta novità al mese e della maggior parte se ne scopre l’esistenza solo una volta entrati nella piattaforma e posizionati in evidenza nell’home page. Il cinema, invece, opera una comunicazione all’inverso, interamente concentrata sul singolo prodotto: il film deve essere percepito per quello che è, nella sua unicità, e il tipo di campagna differisce da titolo a titolo con tutto ciò che ne consegue in termini di strategia, investimenti e attività. Per quanto riguarda i mezzi di comunicazione, le piattaforme creano molti materiali per le campagne digital e social, ma fanno meno pianificazione televisiva, che resta invece uno standard della campagna cinematografica. Questo è un dato da non sottovalutare perché nel nostro Paese la televisione “tradizionale” è ancora il media più utilizzato e quello che concentra maggiormente gli investimenti. Le piattaforme, invece, utilizzano molto le affissioni (dinamiche e non) dando particolare importanza ai maxi-formati, impianti che il cinema sceglie solo per i titoli di punta. Un’altra sostanziale differenza è che il cinema può e deve contare sul trade marketing, in quanto il lavoro di conversione della campagna marketing avviene in sala quando lo spettatore acquista il biglietto.

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Insomma pur avendo dinamiche sensibilmente differenti e finalità commerciali diverse, credo però che la vera sfida delle piattaforme e del cinema sia quella di riuscire a delineare una combinazione virtuosa di promozione e comunicazione, dove per promozione intendo tutte le attività unidirezionali in cui si invia un messaggio al target con finalità informativa (ad esempio lo spot in Tv con la data di uscita del film o con una specifica call-to-action), e per comunicazione tutto ciò che prevede il cosiddetto feedback (ad esempio la pianificazione social dove si possono avere anche risposte e commenti dal pubblico). Oggi proprio i social sono un terreno aperto e concreto dove si generano e determinano veri e propri modelli di consumo, ragion per cui è fondamentale saper creare interazione tra pubblico e film. Gli user-generated-content (come post, contenuti audiovisivi o fan art), i feedback e la riappropriazione dello storytelling del prodotto sono un meccanismo imprescindibile nel decretare il successo di un titolo. E questa è un’esperienza, una relazione, un modello di comunicazione che va saputo stimolare, ovviamente quando si ha il titolo giusto su cui poterlo praticare. Se ci riferiamo alla nostra realtà produttiva e distributiva, penso che il cinema italiano debba riuscire a interiorizzare meglio il metodo di analisi del proprio prodotto. Capire un film a quale pubblico si riferisce, valutare gli asset commerciali che possiede non solo in fase di lancio ma già in fase di preparazione e produzione del film stesso. Questo, a mio avviso, rafforza tutto il lavoro strategico di vendita, di posizionamento e aiuta in modo sostanziale l’attività di comunicazione. Nel cinema questo approccio non sempre funziona a dovere. Credo sia fondamentale che produzione e distribuzione possano confrontarsi già nella fase di sviluppo, a partire dalla sceneggiatura, e non definire la strategia di lancio a film ultimato o, addirittura, in prossimità dell’uscita in sala. Questo probabilmente richiede un ulteriore investimento in risorse e figure che sappiano…»

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