A partire dal 2025 verrà assegnato per la prima volta il David di Donatello al Miglior Casting. La UICD, di cui lei è presidente, l’ha definito un “momento epocale per la categoria”. Perché?
È un momento importante sia perché frutto di molti anni di lavoro della nostra associazione, sia perché l’Accademia David di Donatello è stata la prima in Europa a istituire questo premio dopo i Bafta. E a febbraio anche l’Academy of Motion Pictures ha annunciato l’istituzione dell’Oscar per la nostra categoria. Una sorta di onda lunga che speriamo continui a diffondersi anche in altri Paesi. La nostra è una professione “relativamente” nuova, che fino a 40 anni fa veniva svolta nella maggior parte dei casi dall’aiuto regista. Conoscere gli attori, l’arte della recitazione, saper comprendere il desiderio del regista rispetto a chi incarnerà i suoi personaggi, e in funzione di questo cercare, proporre, dirigere i provini, fino alle scelte finali, è invece un processo complesso e articolato. Il premio ai David riconosce finalmente la valenza artistica e professionale del nostro ruolo.
Come siete arrivati a questo traguardo?
La nostra richiesta è iniziata nel 2004, e subito ci siamo resi conto che non tutti conoscevano approfonditamente il lavoro del casting director. Era quindi difficile comprenderne l’importanza. Abbiamo allora cercato di raccontarci partecipando a eventi, festival, panel dove fosse possibile spiegare, parlare, rispondere a domande. Poi 10 anni fa i Nastri D’Argento hanno istituito il premio al Miglior Casting Director, risultato che ci ha gratificati e incoraggiati ad andare avanti. Successivamente Piera Detassis ci ha ascoltati e supportati e, grazie al dialogo costruito con i membri del direttivo dell’Accademia, dal 2025 avremo il nostro David. È il coronamento di tante iniziative e di un meticoloso e lungo lavoro della UICD: dai crediti nei titoli di testa, alla definizione di un codice etico, alla definizione di linee guida nel processo di casting per un lavoro fondato sul rispetto reciproco.
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Laura Muccino insieme alla famosa Casting Director americana Bonnie Timmermann e a Piera Detassis (Presidente e Direttrice artistica dell’Accademia del Cinema Italiano) al Cinema Troisi di Roma lo scorso 4 ottobre 2023 (© Luca Dammicco/courtesy of Unione Italiana Casting Directors)
Come è cambiato il lavoro del casting director negli ultimi 10 anni?
Il cambiamento più significativo è stato durante la pandemia con l’uso del self tape (auto provino fatto dall’attore in autonomia e poi inviato al casting). Un procedimento riduttivo rispetto al provino in presenza, ma che allo stesso tempo ha dato la possibilità a più attori di essere visti, e ai casting director e registi di avere un panorama più ampio. Finita l’emergenza sanitaria, però, è stato essenziale confrontarsi sul tema, perché il provino è il cuore del nostro lavoro, dove accadono cose, incontri, dialoghi, emozioni. Dunque un equilibrio tra le due modalità è essenziale.
In che modo l’entrata delle piattaforme streaming come Netflix e Prime Video nella produzione di originals italiani ha influito nel lavoro di casting?
Soprattutto agli inizi, le piattaforme hanno portato a una maggior varietà di ruoli. La necessità di contenuti che fossero fruibili in tutto il mondo si è tradotta in una maggiore complessità nell’ambito del cast e quindi nel nostro lavoro.
Le serie di Romanzo criminale, Gomorra, Suburra, L’amica geniale – di cui lei ha curato i casting – hanno lanciato attori sconosciuti. Anche ora, le star più amate dai giovani arrivano da serie come Mare Fuori, Prisma, Skam. È corretto dire che la serialità è più propensa a sperimentare nomi nuovi, mentre il cinema tende a proporre un po’ sempre i soliti nomi?
Sicuramente Romanzo criminale in questo senso è stato un apripista. Quando abbiamo iniziato il casting, ci siamo chiesti che strada prendere visto che il film già prodotto per il cinema riuniva gli attori di maggior successo. Stefano Sollima ha voluto che fossero tutti attori non noti e i produttori (Cattleya e Sky) hanno concordato lasciando piena libertà di ricerca e di scelta. Il successo della serie e la domanda del pubblico: “ma da dove sono usciti questi attori?” è stato di incoraggiamento per i progetti successivi contribuendo a far emergere tantissimi attori e attrici che poi hanno nutrito anche il cinema. Credo che questa libertà sia attribuibile in parte all’assenza di “ansia da incasso” propria della Tv. Nel cinema si fa ancora molta fatica a pensare che un film possa avere successo anche senza attori noti, anche se questa è una falsa illusione di garanzia. Il mercato ha senz’altro delle regole, ma a volte la sovraesposizione di alcuni interpreti ha un effetto inverso sul pubblico. È un equilibrio delicato.
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(© iStock)
Dal suo punto di vista, trova che il cinema italiano proponga pochi ruoli da protagonista per le donne?
O che spesso i personaggi femminili siano stereotipati? Purtroppo questa è stata ed in parte è ancora una verità. La nostra è stata una cinematografia tendenzialmente fatta di protagonisti maschili, soprattutto da un certo punto in poi. Cosa è successo dopo Anna Magnani, Monica Vitti, Mariangela Melato? Perché è diventato improvvisamente più difficile scrivere personaggi femminili
tridimensionali e importanti? Se si guarda al percorso della società credo sia facile individuare delle risposte. Per fortuna, oggi e cose stanno (lentamente) cambiando.
Dove e come si scovano i nuovi talenti?
In tanti modi diversi. Nelle scuole di recitazione, grazie a un costante lavoro di ricerca sul territorio, andando a teatro. Come? Individuando personalità e potenziale.
Si dice spesso che il cinema italiano non ha uno star system. È d’accordo?
Anche questa è una cosa vera che sta cambiando, grazie soprattutto alle piattaforme. Una maggior diffusione dei prodotti nei mercati stranieri sta consentendo maggior visibilità ai nostri interpreti, e il successo internazionale è uno degli elementi che definiscono lo star system. Nello stesso tempo è vero che il sistema delle star è proporzionato allo stato della cinematografia di un Paese: incentivare,
proteggere e nutrire il nostro settore produrrebbe senz’altro uno star system più forte.
Il numero di follower ha un peso sempre crescente nell’influenzare le scelte di casting anche in Italia?
Forse per certi tipi di prodotti, quelli più commerciali, sì. Ma, almeno per la mia esperienza, è molto raro.
L’intelligenza artificiale è un rischio reale per gli attori?
È essenziale una regolamentazione chiara in merito, soprattutto a tutela degli interpreti. Ma non credo che un attore o un’attrice possano davvero essere sostituiti dall’IA. Nell’arte della recitazione c’è un’imprevedibilità e una magia che non è replicabile.
Qual è, secondo lei, un aspetto del cinema italiano di oggi che andrebbe migliorato?
Più libertà, più rischi e più investimenti. Utopia? Penso che una cinematografia sana debba essere eterogenea. Dare spazio alla produzione indipendente in equilibrio con quella commerciale. E più promozione. Se vedo programmi culturali televisivi francesi o spagnoli, quasi ogni giorno diffondono un servizio su film in uscita; questo “orgoglio” a noi manca un po’. Infine, serve un maggior investimento sulla formazione.
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