Hollywood in crisi: la California raddoppia gli incentivi, ma potrebbe non bastare

Il piano di rilancio del governatore Newsrom non sembra convincere i lavoratori del settore, sempre più preoccupati dalla fuga delle produzioni in altri Stati o all'estero
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La produzione audiovisiva in California sta attraversando una crisi senza precedenti. Negli ultimi due anni, secondo il Bureau of Labor Statistics, sono andati persi circa 40.000 posti di lavoro nel settore, colpito da un mix di scioperi sindacali, riduzione degli investimenti da parte delle piattaforme e crescente concorrenza da parte di Stati e Paesi con politiche fiscali più aggressive. La storica capitale del cinema mondiale e di Hollywood sta perdendo terreno, e la risposta delle autorità locali richiesta a gran voce anche dagli studios non sembra sufficiente a invertire la rotta.

A metà maggio, il governatore Gavin Newsom ha annunciato un raddoppio del programma di incentivi fiscali per l’industria cinematografica e televisiva. Il nuovo piano punta a sostenere progetti girati in California, con un focus particolare sulle grandi produzioni di richiamo. Ma lo stesso Newsom, presentando la misura, ha ammesso la gravità della situazione: «Il settore è in terapia intensiva. Dobbiamo essere più competitivi.» Secondo le proiezioni, i nuovi fondi potrebbero generare tra i 4.000 e i 5.000 posti di lavoro, numeri significativi ma ancora distanti da quanto necessario per colmare le perdite recenti.

Un’analisi pubblicata da Variety in questi giorni fotografa un sistema sempre più svuotato. «All’inizio del 2024 tutto è crollato,» racconta Sienna DeGovia, food stylist con oltre vent’anni di esperienza su set come Mad Men, girato a Los Angeles nonostante l’ambientazione newyorkese. «Ho chiamato i miei vecchi mentori e li ho pregati di prendermi come assistente. Non mi era mai successo» ha aggiunto.

A influire sul calo di produzione sono anche le scelte delle stesse major, sempre più propense a spostare le lavorazioni fuori dalla California, e spesso dagli Stati Uniti. Paesi come Canada, Regno Unito, Ungheria e Australia offrono ormai da anni crediti d’imposta altamente competitivi, combinati a un cambio favorevole. Secondo il produttore Chris Bender, «essere competitivi, o anche solo avvicinarsi, richiederà non solo uno sforzo statale, ma anche un incentivo federale. Oggi almeno 70 Paesi offrono sussidi a livello nazionale».

Un credito d’imposta federale, già proposto da Ronald Reagan negli anni ’70 per contrastare la cosiddetta runaway production, è tornato al centro del dibattito. Ma al momento l’industria statunitense resta divisa e priva di una strategia condivisa. «Sotto queste condizioni, ogni lavoro che lascia gli Stati Uniti per inseguire incentivi fiscali stranieri acquisisce un’importanza ancora maggiore – avverte Russell Hollander, direttore nazionale della Directors Guild of America – Recuperare quelle produzioni deve diventare una priorità assoluta».

L’articolo di Variety offre anche uno sguardo sui riflessi internazionali della crisi. In Canada, e in particolare a Vancouver, centro produttivo di riferimento negli ultimi trent’anni, si registra oggi un rallentamento drammatico: solo il 25% dei membri del sindacato IATSE 891 è attualmente impiegato. «La produzione nel 2025 è incredibilmente lenta – conferma la location scout Tonya Hartz. Crystal Braunwarth, rappresentante sindacale – la situazione è così brutta che i nostri membri stanno chiedendo lavori da camionisti per Amazon».

La preoccupazione è alimentata anche dalle recenti dichiarazioni di Donald Trump, che ha minacciato tariffe del 100% sui film stranieri e dazi sulle importazioni canadesi. «Potete immaginare il panico tra i nostri iscritti» osserva Braunwarth. Il governo locale, però, difende il modello. «Chiudere le porte a un’industria globale significa non capire come funziona l’industria» sottolinea Spencer Chandra Herbert, ministro della cultura della British Columbia.

Il montatore Gary Lam (District 9, Terminator: Dark Fate) lo conferma: «Se Hollywood rallenta, rallentiamo anche noi. Vogliamo che Hollywood sia in piena attività.» Ma il ritorno indietro potrebbe non essere possibile. Come spiega il produttore Michael Dubelko, «quando facevo televisione c’erano 50 show, oggi sono 500. Tutta questa produzione non poteva più restare confinata in una città o in uno Stato solo. Era inevitabile che si diventasse mobili. Come fai a riportare quel business indietro? Non lo so. Non vedo come sia possibile». La crisi di Hollywood, insomma, potrebbe non essere destinata a finire tanto presto.

Fonte: Variety
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