Hollywood, allarme ricambio generazionale tra gli attori?

I dati d’incasso degli ultimi anni lo indicano chiaramente: da Tom Cruise a Dwayne Johnson, gli attori che tengono a galla Hollywood hanno tutti dai 50 anni in su. Lontano dai franchise manca uno star system giovane che sia davvero una garanzia di continuità al box office: un fenomeno che riguarda il cinema americano ma anche quello italiano, e che richiede una seria riflessione per creare davvero i nuovi divi di domani

Di seguito l’articolo pubblicato su Box Office del 15-30 luglio 2023 (n. 9). Per leggere l’intera rivista clicca QUI, oppure scarica la versione digitale dall’app di Box Office su Google Play e App Store, o abbonati direttamente alla versione cartacea della rivista.

Il futuro dello star system è in pericolo? Forse sì. L’allarme arriva direttamente da Hollywood, ormai sempre più cosciente di non essere più un Paese per giovani. Nello star system mondiale manca un ricambio generazionale funzionale non solo a rinnovare l’immaginario cinematografico, ma anche a farsi garanzia di grandi incassi. L’emergenza è emersa anche al CinemaCon di Las Vegas, lo scorso aprile: esercenti e distributori, tra i quali Tony Chambers di Disney, si sono detti preoccupati che Hollywood avesse perso la capacità di creare nuovi divi. Perché le star davvero “bankable”, termine usato dagli americani per definire un attore o un’attrice che con la sua sola presenza è garanzia di successo del film, hanno tutte superato da un pezzo gli “anta”. L’analisi dei dati sul box office di questa prima metà del 2023 (prima dell’uscita di Barbie, ndr)parla chiaro: nei primi venti posti tra gli incassi mondiali (fonte Box Office Mojo) al terzo posto troviamo Fast X, con il 56enne Vin Diesel, in quinta posizione c’è John Wick: Chapter 4 con il 58enne Keanu Reeves, seguono Air con i cinquantenni Matt Damon, Ben Affleck e Jason Bateman, The Pope’s Exorcist con il 59enne Russell Crowe, senza contare il ritorno in sala di Titanic per il 25mo anniversario dell’uscita. E il botteghino degli over 70 è in rialzo non solo con Indiana Jones e il quadrante del destino con Harrison Ford ma anche con i risultati attesi dall’uscita di Breakout con Arnold Schwarzenegger e That’s Amore con John Travolta (che, per precisione, compirà 70 anni il prossimo febbraio). Mentre tra i titoli sui quali scommettere di più, il mercato di Cannes ha indicato il reboot di Cliffhanger, col ritorno dello scalatore 76enne Sylvester Stallone: del resto molte di queste vecchie glorie, nelle scene d’azione e di stunt, sono ben più spericolati dei loro colleghi più giovani. Anche i grandi riconoscimenti internazionali indicano la stessa via: quest’anno i Premi Oscar ai migliori attori sono andati a Brendan Fraser, Michelle Yeoh, Ke Huy Quan, Jamie Lee Curtis, tutti tra i 50 e i 65 anni. Ed è ormai celeberrima la frase che Steven Spielberg ha detto al sessantenne Tom Cruise abbracciandolo al rituale pranzo dell’Academy: «Hai salvato Hollywood», visto che Top Gun: Maverick ha incassato da solo un miliardo e mezzo di dollari.

Chi, fra i giovani divi anche amatissimi come Timothée Chalamet, Tom Holland, Zendaya, sarebbe capace di portare al cinema con la forza del proprio nome la stessa quantità di pubblico? Forse, per ora, nessuno. Perché l’impressione è che l’industria cinematografica non sia riuscita, negli ultimi anni, a costruire uno star system under 40 che abbia la stessa forza commerciale e mediatica della generazione precedente. I nuovi nomi non sono “familiari” quanto quelli delle star di vecchia generazione, tanto che il grande pubblico spesso fatica ad associare nome a volto. Il divo non è più un personaggio mitizzato, ma raggiungibile persino nella sua intimità domestica attraverso i social media. E così, il meccanismo dello star system inevitabilmente si sgonfia.

©GettyImages

MA CHE COS’È LO STAR SYSTEM?

Esiste però, spiega la critica britannica Wendy Ide del Guardian, «una potenziale disparità tra il modo in cui Hollywood quantifica l’idea di una “star del cinema” e il modo in cui i fan e il pubblico valutano la celebrità. La metrica del settore viene conteggiata in dollari al botteghino: si riduce al fatto che una star possa garantire un ritorno finanziario al film. Per il pubblico cinematografico, invece, la celebrità è misurata in modo diverso. Quella star attira la sua attenzione in ogni scena? Provoca davvero un brivido quando compare sullo schermo?». Insomma, per interrogarsi sulla crisi del nuovo divismo a Hollywood non bisogna confondere star system e celebrity culture. Lo star system nasce come strumento sistematico dell’industria per costruire e lanciare star che creino un diretto indotto economico coi film che interpretano, mentre il concetto più allargato di celebrities, pur comprendendo divi di enorme riconoscibilità e riscontro mediatico, non corrisponde per forza a un riscontro economico al cinema. Ecco perché un attore o un’attrice, come George Clooney e Nicole Kidman (secondo il sito The Numbers rispettivamente 82mo e 112ma nella classifica dei divi che hanno guadagnato di più come protagonisti al box office mondiale) possono essere percepiti dal pubblico come star assolute ma avere un potere ridotto o non continuativo in termini di botteghino. Lo stesso vale per la superstar Leonardo DiCaprio, appena 33mo nella medesima classifica. Del resto un sondaggio dello scorso aprile del National Research Group, società di analisi specializzata in intrattenimento e tecnologia, che chiedeva agli spettatori e di nominare cinque attori che costituiscono per loro un motivo di andare al cinema, vedeva nella top five Tom Cruise, Dwayne Johnson, Tom Hanks, Brad Pitt e Denzel Washington: nessuno sotto i 50 anni.

I MOTIVI DEL DECLINO

In un articolo di Variety, il celebre sales agent americano George Hamilton fa risalire la sempre minor capacità di Hollywood di costruire uno star system al crollo del business dei Dvd nel 2008. Per un motivo preciso: «Quasi tutti gli attori e le attrici che oggi assicurano risultati proficui erano al cinema in film di grande successo quando i Dvd contavano ancora molto. Oggi il successo è più frazionato: molti giovani attori e attrici sono diventati star grazie soprattutto alle serie più viste su una piattaforma streaming, ma un’intera fascia di pubblico che magari non è iscritta a quella piattaforma non viene toccata da questo successo», ha dichiarato. Senza contare che gli investimenti delle piattaforme streaming in campagne marketing sui singoli titoli (almeno per quanto riguarda i film: diverso è l’investimento per le grandi serie) sono molto minori rispetto ai budget dedicati al lancio delle grandi uscite theatrical, per le quali spesso l’intero cast viene spostato per il mondo per incontrare il pubblico in première con tappeti rossi e consistenti ritorni mediatici. Il 2008 è anche l’anno dell’avvio di Twilight, franchise che ha lanciato Robert Pattinson e Kristen Stewart (quasi 3 miliardi e 400 milioni di dollari in tutto il mondo con i suoi cinque titoli), attori che però nelle loro successive carriere non hanno più raggiunto quei picchi al box office. Allo stesso modo, star più giovani legate da contratti a lungo termine con l’universo Marvel, come Tom Holland e Chris Hemsworth, fuori dal franchise non hanno la stessa continuità d’incasso. Lo stesso vale per alcune attrici, come Scarlett Johansson quando non è nei panni di Black Widow, o Jennifer Lawrence senza i franchise di Hunger Games o X-Men. Perché «da Twilight in poi si è cominciato a puntare sulla promozione del franchise e della proprietà intellettuale invece che sulla promozione delle singole star», fa notare il regista e produttore Aaron Kaufman che con alcuni degli attori di Twilight ha lavorato in altri progetti di minor successo. Il marketing insomma si concentra più sul brand che sul divo: la vera miniera d’oro, oggi, è il franchise, non la singola star. Il successo della saga di Fast & Furious, per esempio, è rimasto intatto nonostante la morte di Paul Walker, o il solidissimo franchise di Star Wars, compresi i suoi spin-off, non ha mai presentato cedimenti forti al botteghino pur avendo salutato nel tempo, più o meno permanentemente, non solo Harrison Ford ma anche star come Ewan McGregor e Natalie Portman. L’appeal del franchise presso il pubblico è la vera chiave dell’incasso, indipendentemente da chi lo interpreta: anche questo non aiuta le nuove generazioni che non beneficiano della popolarità accumulata negli anni ’80 e ’90. Questa miopia nello scorgere un potenziale economico nei giovani, fa notare ancora il Guardian, è sintomo di un settore che è diventato negli ultimi decenni sempre meno propenso al rischio. «Guidati dagli azionisti e dagli uomini d’affari, gli studi hanno intensificato la loro ricerca di un’imprendibile “scommessa sicura”», scrive Wendy Ide. «Nella pratica, significa investire in progetti già famigliari e apparentemente sicuri come remake, franchise, adattamenti cinematografici di giochi da tavolo e videogiochi: qualsiasi cosa, cioè, con un certo grado di riconoscimento nel nome».

IL DE-AGING NON È LA RISPOSTA

La mancanza di attori under 30 che possano tener testa alla popolarità dei loro colleghi più anziani ha anche un altro effetto: Hollywood ricorre sempre più spesso al de-aging digitale affinché le star attempate possano interpretare i loro personaggi in versione più giovane. La tecnologia in merito è andata progressivamente migliorando ma non è ancora tanto soddisfacente da apparire completamente naturale come dimostrano, sottolinea Variety, i primi 25 minuti di Indiana Jones e il quadrante del destino, dove Ford è stato ringiovanito digitalmente di più di 40 anni in una sequenza action quasi completamente avvolta nella semi-oscurità. Anche The Irishman, pur nominato all’Oscar 2020 per i migliori effetti visivi, all’epoca dell’uscita è stato criticato perché, nonostante il make-up digitale, quando De Niro e Al Pacino interpretavano i loro personaggi da giovani continuavano comunque a muoversi come uomini di settant’anni. Sono tanti, per contro, gli esempi del passato in cui attori diversi interpretavano lo stesso personaggio nelle varie fasi della sua vita, come Judi Dench e Kate Winslet in Iris, o la stessa Winslet e Gloria Stuart in Titanic, o ancora River Phoenix e Harrison Ford in Indiana Jones e l’ultima crociata. Il de-aging, insomma, è la risposta sbagliata all’incapacità di Hollywood di creare delle star più giovani e più solide. E in alcuni casi arruolare altri attori per interpretare il protagonista da giovane è comunque necessario e più sensato, come nel caso di un prequel come Solo: A Star Wars Story dove il giovane Han Solo è incarnato dal trentenne Alden Ehrenreich.

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IL “GIOVANE” STAR SYSTEM IN ITALIA

Anche nel nostro Paese a muovere davvero il box office con la loro presenza sono soprattutto gli attori nati tra il 1960 e il 1975, da Pierfrancesco Favino a Valerio Mastandrea, da Stefano Accorsi a Paola Cortellesi ed Edoardo Leo. Le eccezioni non mancano, ma sono poche: tra i divi under 40 ci sono Alessandro Borghi e Luca Marinelli, che non solo hanno incassato insieme 6 milioni di euro con Le otto montagne, ma stanno per alzare le loro quotazioni con due serie attesissime, Supersex su Rocco Siffredi per il primo, M sul giovane Mussolini per il secondo. O ancora Luca Argentero, uno dei pochi attori italiani a superare i 2 milioni di follower su Instagram, amatissimo per la serie Rai Doc – Nelle tue mani ma dai risultati diseguali al cinema. Tra le dive under 30 vanno citate Matilda De Angelis e Benedetta Porcaroli, quest’ultima con 1 milione e 400mila follower su Instagram, un record fra le giovani attrici italiane. Anche in Italia, però, i numeri indicano che a garantire incassi sicuri sono soprattutto gli over 45. Lo suggeriscono i dati riportati dall’articolo “Attori, chi incassa di più?” su Box Office n. 5 del 2023, che analizza gli incassi dal 2018 al 2023. L’attore più redditizio è quello del 45enne Checco Zalone che con un solo film, Tolo tolo, ha superato i 46 milioni di euro. Dopo di lui, le prime dieci posizioni sono occupate tutte da attori e attrici tra i 49 e i 64 anni, come Pierfrancesco Favino, Paola Cortellesi e Toni Servillo, ad eccezione di Sofia Scalia e Luigi Calagna, rispettivamente 26 e 30 anni, ovvero i “Me contro Te”, protagonisti di quattro fortunatissimi film nati dal successo del loro canale YouTube e destinati al target specifico dei bambini e delle famiglie, una nicchia di pubblico che solitamente non ha un’offerta di star system live action ma che rappresenta una fetta importante del mercato. Eppure, uno star system giovane e molto forte esiste, ed è legato a serie Tv che si rivolgono anche ai giovani dai 13 ai 24 anni, come Skam, L’amica geniale, oltre al fenomeno Mare fuori, in onda dal 2020 su Rai Due, su Raiplay e approdata anche su Netflix, che ha scatenato un vero e proprio culto nei confronti dei protagonisti ventenni, da Massimiliano Caiazzo a Matteo Paolillo, da Nicolas Maupas a Maria Esposito, da Valentina Romani a Giacomo Giorgio. Il fenomeno è transmediale: dalla televisione allo streaming, fino ai social media. Su Instagram gli attori di Mare fuori superano quasi tutti il milione di follower. Ma è uno star system destinato a durare negli anni? Con quali esiti commerciali potrebbe arrivare al cinema? Tra di loro, Valentina Romani è l’unica a essere approdata a un festival internazionale, con Il sol dell’avvenire a Cannes. Il passaggio dal successo della serie al cinema non è scontato e, quando avviene, in Italia è un processo meno veloce rispetto ai meccanismi hollywoodiani dove, ad esempio, vedremo presto Sydney Sweeney, star delle serie Euphoria e White Lotus, in quattro film, tra i quali Madame Web che declina al femminile lo Spider-Verse. Un segnale sulla necessità di costruire lo star system di domani l’ha lanciato anche l’Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello con il nuovo “David di Donatello – Italian Rising Stars”, che sarà assegnato a dicembre in collaborazione con il sistema cinema toscano e la “50 Giorni di Cinema a Firenze”: non solo un premio, ma un programma in più anni che potenzi i giovani talenti selezionati anche dal punto di vista dell’impatto sul pubblico, rafforzando gli ingredienti del divismo anche per la nuova generazione. Al netto delle singole proposte viene però da pensare che forse, da parte dell’industria italiana, manchi un percorso lungimirante e organico che sistematizzi la crescita dei nuovi talenti. I giovani attori, pur molto amati, restano spesso relegati ad ambiti televisivi o a film d’autore che non sempre raggiungono il grande pubblico. E scontano un vuoto di personaggi coetanei che siano davvero protagonisti: al cinema, a differenza che in Tv, sono poche le storie centrate su adolescenti o ventenni pensate per arrivare a pubblici più larghi. Anche quando arrivano sul grande schermo, i giovani divi delle serie restano in ruoli secondari, com’è accaduto a Francesco Centorame, passato da Skam 5 a Il colibrì di Francesca Archibugi. Insomma, l’industria italiana fatica a costruire dei film attorno al talento degli under 30, pensati per lanciarli davvero sul mercato. E se per ora l’unico formato che riesca a creare un giovane star system è quello della serie televisiva, il cinema potrebbe iniziare a capitalizzare questa quota di popolarità che nasce dalle serie. Molte sale americane si sono aperte per esempio alla proiezione di serie Tv di successo come The Chosen, Il trono di spade o Downton Abbey. Potrebbe essere un’idea anche per l’Italia, in particolare con proiezioni mirate nelle città che sono state set delle serie più amate. Nel 2017 e nel 2019, per esempio, le ultime due puntate della serie Rai La porta rossa e La porta rossa 2 sono state proiettate gratuitamente anche in due cinema di Trieste, dove la serie è ambientata, in contemporanea con la messa in onda su Rai2 e alla presenza del cast: tutti gli eventi sono andati sold out. Stessa modalità e stesso successo per la proiezione delle ultime puntate della serie Rai Volevo fare la rockstar a Gorizia, nel 2022. Viene da pensare che, opportunamente promossi, eventi simili potrebbero funzionare anche a biglietto, basandosi sulla sinergia tra produttori, broadcaster, esercenti e film commission locali. Per potenziare quella caratteristica di crossmedialità che, oggi, sembra essere l’unica via possibile alla formazione di un nuovo star system capace non solo di richiamare il pubblico al cinema come quello che l’ha preceduto, ma anche di creare una nuova generazione di spettatori che ci traghetti nel cinema di domani. 

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