Gli studios di Hollywood frenano sui dazi: «Il vero problema è in California»

Alcuni dei più importanti executive dell’industria hanno criticato non solo la proposta di Trump, ma anche i piani statali per contrastare l'esodo delle produzioni
hollywood, gli studios contro i dazi

Mentre Donald Trump torna a minacciare dazi del 100% sui film girati all’estero per “proteggere i posti di lavoro americani”, i vertici degli studios di Hollywood spostano il baricentro del dibattito: più che una questione nazionale, il vero problema sarebbe il crescente esodo delle produzioni dalla California. Lo hanno dichiarato durante un panel della Milken Institute Global Conference, a Beverly Hills, alcuni dei più importanti executive dell’industria, tra cui Ravi Ahuja (Sony Pictures), Mike Hopkins (Amazon MGM), Casey Bloys (HBO e Max) e Pearlena Igbokwe (NBCUniversal).

«In termini di produzioni che stanno lasciando il Paese, è quasi più un problema della California che degli Stati Uniti», ha affermato Ravi Ahuja in un panel moderato da Julia Boorstin di CNBC, come riportato da Variety. «È vero che molte produzioni se ne sono andate dagli Stati Uniti, ma per la California la situazione è anche peggiore» ha aggiunto. Il dirigente di Sony ha confermato che gli studios stanno collaborando con il governo dello Stato per elaborare nuove proposte legislative in materia di incentivi, tema che rimane centrale per l’economia dell’audiovisivo: «I margini di profitto per uno studio sono in media del 10%, quindi le produzioni vengono localizzate dove conviene di più».

Dello stesso parere Casey Bloys, a capo dei contenuti HBO e Max, che ha descritto l’attuale sistema californiano come «un problema di pianificazione». «Gli incentivi sono limitati da un tetto massimo, e per ottenerli si deve entrare in una sorta di lotteria. Non hai la certezza che il tuo progetto sarà selezionato, mentre ad Atlanta o in Canada l’incentivo è garantito» ha detto. Una situazione che, secondo Bloys, ostacola la possibilità di programmare con sicurezza anche per le produzioni televisive.

Mike Hopkins ha sottolineato quanto sia auspicabile girare in California, per motivi sia logistici che qualitativi: «È un bel giorno quando puoi uscire dall’ufficio, andare sul set e salutare il cast», ha detto, invocando però un rafforzamento degli incentivi da parte del governatore Gavin Newsom. Hopkins ha anche voluto chiarire un malinteso ricorrente sull’utilizzo dei crediti fiscali: «Non si tratta di dare soldi a Tom Cruise. Gli attori sopra la linea saranno pagati ovunque vadano. Quei fondi vanno a sostenere l’indotto: troupe, tecnici, fornitori».

Anche Pearlena Igbokwe ha ribadito che la localizzazione di una produzione risponde prima di tutto a esigenze creative, e che la California resta sempre la prima scelta, se compatibile con la storia. A sostegno di questa posizione è intervenuta Debora Cahn, creatrice della serie The Diplomat, che pur girando spesso all’estero per esigenze narrative, ha elogiato il bacino di maestranze californiano: «Il talento e le strutture qui a Los Angeles restano senza pari. È sempre la mia prima opzione».

Le dichiarazioni degli executive si collocano nel pieno dibattito aperto dalla provocazione di Trump, che ha proposto un’imposta del 100% sui film girati all’estero. Il governatore Newsom avrebbe risposto proponendo invece un piano federale da 7,5 miliardi di dollari in incentivi, da sviluppare in collaborazione con l’amministrazione federale. In attesa di sviluppi concreti sul fronte legislativo, l’appello degli studios è chiaro: serve una riforma strutturale e prevedibile degli incentivi statali, per evitare che Hollywood perda il suo ruolo di centro produttivo globale.ho

Fonte: Variety / THR

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