Il rischio che la nostra cinematografia finisca per approcciarsi superficialmente a termini come “diversità” e “inclusione”, riducendo il loro significato più profondo, è piuttosto facile. Specialmente in una società che ha fatto di queste parole la propria bandiera. Eppure, mai come oggi occorrerebbe riscoprire nuovamente la potenza di questi termini e costruire un nuovo cinema italiano attorno a essi. Perché “diversità” e “inclusione” dovrebbero comprendere tutto ciò che ci circonda, valorizzando storie spesso date per scontate o lasciate ai margini, ma che in realtà sono parte integrante della vita di moltissime persone. E a volte basterebbe parlare di aspetti apparentemente banali della vita quotidiana: la gioia di avere figli, o la fatica di chi non riesce ad averne; famiglie con persone con disabilità dove la fatica di uno diventa occasione di rinascita per tutti; esempi virtuosi di accoglienza di anziani o di bambini abbandonati; rinascita di una comunità dopo un accadimento tragico; ragazzi espulsi dal mondo scolastico che riscoprono talento e dignità attraverso scuole di avviamento al lavoro; persone che vivono a testa alta nonostante le difficoltà economiche e che hanno saputo risollevarsi dopo un fallimento. Ovviamente sono solo timidi spunti, ma è essenziale che il cinema italiano si risintonizzi con la vita degli spettatori, che è lontana da quel mondo patinato che spesso il cinema racconta. In questo senso ben vengano “commedie intelligenti” (come evidenziato da Luigi Lonigro, direttore di 01 Distribution, nell’intervista di copertina) di largo respiro come C’è ancora domani, Un mondo a parte e L’abbaglio. Ma anche storie coraggiose come Il ragazzo con i pantaloni rosa, toccanti come Vermiglio e Campo di battaglia, o biopic come Berlinguer – La grande scommessa. È ormai evidente che il pubblico va al cinema quando si sente chiamato in causa, premiando storie che lo attirano sì per la qualità artistica, ma soprattutto per la forza della storia.
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