Dopo giorni di bufera mediatica attorno all’intervento del regista Matteo Garrone sulla campagna Oscar di Io Capitano – avvenuto domenica 17 marzo durante un incontro con il pubblico al Festival di Bari – abbiamo deciso di chiedere alcune precisazioni direttamente a Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema. Il coproduttore del film, che ha accompagnato il regista italiano a Hollywood per la cerimonia di premiazione degli Academy Awards, ha accettato di interrompere il silenzio sulle dichiarazioni di Garrone, rilasciando un’intervista esclusiva a Boxofficebiz.it.
Pare si sia creata un po’ di confusione mediatica attorno all’intervento di Matteo Garrone. Ci aiuti a fare chiarezza.
Sì, temo che alcuni concetti espressi dal regista in modo colloquiale/informale durante il bellissimo dialogo con gli spettatori siano stati fraintesi e abbiano generato titoli sulla stampa che hanno drammatizzato le dichiarazioni fatte, alcuni di questi francamente esagerati. Per sgombrare il campo da equivoci, vorrei spiegare meglio alcuni passaggi della campagna vissuta insieme per l’Oscar.
Prego.
Matteo Garrone ha fatto alcune osservazioni in un tono disteso e informale, facendo delle constatazioni di fatti avvenuti senza volersi lamentare o attaccare nessuno. Semplicemente, a fronte di esplicite domande, ha espresso concetti assai semplici per spiegare al pubblico alcune difficoltà incontrate durante il percorso della campagna Oscar. Sicuramente non intendeva addebitare a questi aspetti la mancata vittoria agli Oscar, solo qualche piccolo rimpianto per non aver potuto fare di più. Ma cosa ha detto nella sostanza il regista?
- Io Capitano non è stato selezionato da alcuni festival che sono considerati importanti per dare visibilità ad un film che si appresta a svolgere una campagna Oscar. Tra questi Toronto, Londra, Telluride e New York. E questo è un dato di fatto.
- Molti importanti distributori americani, pur avendo lodato il film, non hanno ritenuto di prenderlo. Perché avevano già nel loro listino dei potenziali contenders, o forse perché preoccupati del tema del film. Per inciso, alcuni di questi distributori nella fase finale della campagna ci hanno dichiarato di aver sbagliato la valutazione, scusandosi.
- Il film ha iniziato la campagna senza una distribuzione americana, fatto, questo, sicuramente penalizzante. Di solito è il distributore americano a definire la strategia di una campagna Oscar e ad indicare i passi più corretti da compiere. Quando Matteo Garrone ha detto che «siamo stati lasciati soli e nessuno ci ha detto di iscrivere il film a tutte le categorie» si riferiva alla mancanza del distributore americano. Distributore che è entrato successivamente e che peraltro, non essendo una società di primaria importanza, non ha potuto investire le somme milionarie dei principali film nostri competitor che ricordiamo erano distribuiti da A24, Neon, Netflix e Sony.
Ma senza entrare troppo nei tecnicismi, può spiegarci come funziona il meccanismo del voto agli Oscar e cosa poteva funzionare meglio?
Il meccanismo di voto dell’Academy è molto complesso e varia di fase in fase, soprattutto per i film internazionali. I membri dell’Academy, per votare i film internazionali nelle prime due fasi e arrivare alla shortlist dei 15, e successivamente alla cinquina, devono esprimere una esplicita volontà e passare attraverso un complicato meccanismo di accesso ad un’area dedicata sulla piattaforma, e dare prova di visione di un certo numero di film. Il numero di membri che opta per questo iter è quindi limitato rispetto alla platea complessiva degli aventi diritto al voto. Solo dalla cinquina in poi tutti i 10.000 votanti possono votare senza nessun vincolo o limite e, addirittura, senza aver visto il film. Dunque, un film che gareggia in tutte le categorie ha molta più facilità di essere visto da tutti i membri dell’Academy e di conseguenza una visibilità superiore e più agevole sulla piattaforma. Ed è proprio quando si entra nella cinquina che conta in modo determinante la forza del distributore americano, la sua capacità di farlo vedere e di pubblicizzarlo, allargando così il numero dei votanti.
Ma lei come interpreta le parole del regista?
Si è trattato della descrizione in tono molto informale delle complessità incontrate nel corso della campagna, niente di più. Una campagna che è stata condotta con enorme impegno dal regista, dagli attori e dai produttori, portando, ricordiamolo, un film che era partito come “underdog” per i motivi sopracitati, ed è arrivato, oltre alla nomination Oscar, tra i 6 finalisti al Golden Globes e a vincere il prestigioso premio della critica afroamericana come miglior film internazionale dell’anno.
Quindi si ritiene soddisfatto del percorso internazionale di Io Capitano? Nessun rimpianto?
Assolutamente sì, il film ha fatto un percorso bellissimo, ha ricevuto decine di recensioni americane e internazionali entusiastiche, decine di proiezioni terminate con vere e proprie standing ovation, come testimoniato dai vari social apprezzamenti da star come Sean Penn, Whoopi Goldberg, Alfonso Cuaron, John Savage, Sting e Trudie Styler, Joaquin Phoenix, Frances Fisher, Danny Huston, Morgan Freeman, Zoe Saldana, Toby Jones, Joe Keery, John Turturro e tanti altri, che hanno amato il film, un distributore internazionale come Pathé che ha venduto e fatto vedere il film in tutto il mondo. Film distribuito in 20 Paesi africani e che sarà oggetto di un tour nei villaggi del Senegal grazie alla generosità e disponibilità del regista. Aggiungo anche che abbiamo avuto come concorrenti dei film molto forti che avevano enormi potenzialità. Sempre per tornare a spiegare i complicati meccanismi di voto, il meraviglioso film che ha vinto, La zona d’interesse, poteva contare potenzialmente su circa 900 voti dei votanti inglesi che presumibilmente hanno favorito il candidato del loro Paese. Per avere un termine di confronto, i votanti italiani sono circa 80. Anche in questo caso Garrone ha fatto una semplice costatazione: essendo l’industria britannica molto contigua a quella americana, ha avuto senza dubbio una forza e una rappresentatività maggiore rispetto all’industria di qualsiasi altro Paese europeo.
Nessuna polemica, quindi, ma solo la voglia di spiegare i meccanismi.
Certo, nel modo più assoluto. Anzi, posso aggiungere che le difficoltà incontrate attribuiscono maggior valore al risultato finale della campagna, effettuata con un importante investimento nazionale grazie al MiC, Rai Cinema, e anche grazie agli sponsor e alle aziende come Trenitalia, Enel e Arsenale che hanno sostenuto il film con entusiasmo, e della stessa Archimede Film (società di produzione di Garrone) che ha investito ingenti risorse proprie. A tutto questo aggiungo la gratitudine per il grande sostegno che il film ha ricevuto dalla stampa italiana, dai produttori, dagli addetti ai lavori e, aggiungo, anche da un sentimento diffuso che un film italiano poteva farcela. Mentre eravamo in giro tra l’Europa e gli Stati Uniti a promuovere il film con Matteo Garrone e i due attori, abbiamo avuto la sensazione che tutti in Italia facessero il tifo per Io Capitano, ed è stata un’impressione molto bella. Ora, piuttosto, sarebbe opportuno fare tesoro di tutta questa esperienza e creare un’azione sistematica e coordinata del sistema Paese a favore del film italiano che annualmente partecipa all’Oscar.
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