Cover Story Italian Cinema: Eagle Pictures, un partner internazionale affidabile

Con una visione strategica sempre più orientata all’estero, Eagle Pictures si conferma tra i principali interlocutori italiani nel panorama internazionale. L’amministratore delegato Andrea Goretti racconta il crescente ruolo di riferimento del gruppo nelle coproduzioni e produzioni esecutive globali, i nuovi progetti, e i passi che hanno reso Eagle un partner affidabile per i player internazionali
Andrea Goretti (Eagle Pictures) (foto di V.Pardi)

Con una solida esperienza internazionale e una visione strategica fortemente orientata all’estero, Eagle Pictures si è affermata negli ultimi anni come uno dei principali interlocutori italiani per le coproduzioni e le produzioni esecutive di respiro globale. Alla guida della società ci sono Tarak Ben Ammar, produttore di fama internazionale e presidente di Eagle, e Andrea Goretti, amministratore delegato, che in questa intervista racconta ambizioni, sfide e prospettive della società. Tra i progetti più recenti curati in produzione esecutiva figurano Dune 2 e Godzilla vs Kong, mentre sul fronte delle coproduzioni internazionali Eagle ha partecipato a titoli come La verità sul caso Harry Quebert, American Skin, Lyle, Lyle, Crocodile e The Equalizer 3. Dalla valorizzazione del territorio italiano come set privilegiato, all’apertura verso nuovi mercati strategici come l’Arabia Saudita, la società continua a rafforzare il proprio ruolo nel panorama audiovisivo globale.

Eagle Pictures ha rafforzato in modo significativo la sua presenza nel panorama internazionale. Qual è oggi la vostra visione strategica rispetto alle coproduzioni internazionali?
«Eagle, anche grazie alla  gura del suo presidente Tarak Ben Ammar – che nasce come produttore esecutivo di grandi film internazionali – ha da sempre nel suo DNA una forte vocazione internazionale. Fin dall’inizio abbiamo creduto che, per realizzare progetti cinematografici e seriali ambiziosi, spesso caratterizzati da budget molto rilevanti, fosse fondamentale trovare partner solidi con cui condividere rischi, realizzazione e sfruttamento delle opere. Questo approccio si è concretizzato per la prima volta con la coproduzione della serie La verità sul caso Harry Quebert, realizzata insieme a MGM, a cui sono seguiti American Skin, in collaborazione con M. Burg (produttore della saga di Saw), e più recentemente Lyle, Lyle, Crocodile e The Equalizer 3, entrambi coprodotti con Sony. Naturalmente, trovare il partner giusto è più facile a dirsi che a farsi: serve molta credibilità, soprattutto agli occhi degli americani».

Potete anticiparci qualche progetto futuro?
«Abbiamo in cantiere un nuovo film con Sony, Caught Stealing, presentato al CinemaCon 2025 di Las Vegas, diretto da Darren Aronofsky e interpretato da Austin Butler. Inoltre, un paio d’anni fa abbiamo acquisito i diritti di Rush Hour 4, diretto da Brett Ratner e con il ritorno della coppia Jackie Chan-Chris Tucker. Il film sarà girato principalmente in Cina, in collaborazione con un partner locale».

Come selezionate i partner con cui coprodurre e quali sono i criteri fondamentali che guidano le vostre scelte?
«Non credo esista una regola precisa o una formula universale per la scelta del partner giusto. Soprattutto nelle grandi produzioni internazionali, è spesso più realistico dire che si viene scelti, piuttosto che essere noi a scegliere. Essere invitati a coprodurre è il risultato della credibilità costruita nel tempo sul mercato internazionale – un lavoro lungo e complesso che, nel nostro caso, Tarak porta avanti da quasi 40 anni. Ricordo un episodio a Cannes: mentre camminavamo lungo la Croisette per incontrare il suo socio Naguib Sawiris, Tarak mi disse che tutto il suo impressionante network nasceva da un principio semplice: non aver mai deluso un partner e aver sempre mantenuto la parola data. Credo che questo sia il vero requisito per essere considerati un partner solido e af dabile. Ovviamente resta determinante anche la qualità del progetto per il successo di una coproduzione. Un esempio concreto è stato La verità sul caso Harry Quebert: siamo stati noi a coinvolgere MGM dopo aver acquisito i diritti del romanzo e sviluppato la sceneggiatura insieme a Jean-Jacques Annaud».

Avete lavorato a diverse produzioni esecutive per film internazionali girati in Italia. Quali vantaggi offre oggi il nostro Paese ai player esteri e in che modo Eagle si propone come interlocutore privilegiato?
«L’Italia è uno dei Paesi più belli al mondo, e attori e registi sono sempre entusiasti di venire a girare qui. Offriamo una straordinaria varietà di location – mare, montagne, foreste, castelli, persino paesaggi che ricordano il deserto – oltre a professionalità di altissimo livello, un elemento che rappresenta un valore aggiunto spesso riconosciuto anche all’estero. Il tax credit è un altro punto di forza fondamentale, anche se va detto che molti Paesi europei, come la Spagna, si sono attrezzati molto bene sul piano degli incentivi fiscali. Per quanto riguarda Eagle, non posso svelare tutti i nostri segreti e regalare vantaggi ai competitor (ride, ndr). Scherzi a parte, disponiamo di un team dedicato esclusivamente a queste attività, che monitora costantemente il mercato e promuove sia il nostro Paese che la nostra realtà aziendale. Almeno due volte l’anno visitiamo i principali produttori internazionali per intercettare progetti che possano essere realizzati in Italia, ma anche in Francia – dove sono i nostri Studios de Paris – e in Tunisia, dove possediamo gli Empire Studios. Inoltre, in qualità di distributore, leggiamo centinaia di sceneggiature ogni anno: quando individuiamo un progetto adatto alle nostre location, ci attiviamo subito per portarlo nel nostro territorio».

Ultimi progetti di cui avete curato la produzione esecutiva e titoli in arrivo?
«Negli ultimi due anni, complice anche il ritardo nella pubblicazione della nuova legge sul tax credit, i film internazionali girati in Italia sono diminuiti, spingendoci a concentrare maggiormente le nostre energie sulla produzione nazionale. Tra gli ultimi grandi titoli internazionali di cui abbiamo curato la produzione esecutiva figurano Dune 2 e Godzilla vs Kong. Ora, il nostro team dedicato alle produzioni esecutive è impegnato nella fase  finale dei sopralluoghi per un film che sarà girato nell’ultimo trimestre del 2025, con pre-produzione già in estate. Inoltre, stiamo lavorando alla definizione di budget e location per altri due progetti. La macchina produttiva si è rimessa in moto e Eagle conferma il proprio ruolo di interlocutore chiave per le grandi produzioni internazionali in Italia».

Rush Hour 4

Quanto incidono i fondi pubblici e i meccanismi di tax credit nella costruzione di un modello sostenibile per le coproduzioni?
«La presenza di un sistema di incentivi e sostegno pubblico alle produzioni internazionali è fondamentale, in Italia come negli altri Paesi. Tuttavia, il nostro modello presenta una criticità: attualmente, il coproduttore non può ricoprire anche il ruolo di produttore esecutivo. Su questo punto, credo sia opportuna una riflessione: se un soggetto italiano investe in un progetto internazionale e riesce a convincere un partner estero a girare in Italia, perché non dovrebbe poter curare anche la produzione esecutiva? Un caso emblematico è The Equalizer 3: siamo riusciti a portare Sony a produrre in Italia – si tratta a tutti gli effetti di una produzione straniera – ma, in quanto coproduttori, non abbiamo potuto occuparci della produzione esecutiva. So che spesso si sollevano critiche sul fatto che i fondi pubblici vadano anche a produzioni internazionali. A chi avanza queste obiezioni, suggerirei di considerare perché tutti i Paesi europei si siano dotati di strumenti simili per attrarre investimenti esteri. Dal mio punto di vista, dovremmo facilitare – non ostacolare – l’arrivo di produzioni straniere in Italia. È vero che una parte delle risorse pubbliche sostiene realtà non italiane, ma è altrettanto vero che l’investimento complessivo genera ricadute concrete sul territorio: occupazione per professionisti locali, attivazione di servizi, promozione del paesaggio e ritorni anche per settori come il turismo. Infine, se un’azienda italiana partecipa come coproduttrice, grazie agli incentivi il suo nome viaggia insieme al film in tutto il mondo: un’occasione di visibilità e riconoscimento che dovrebbe rappresentare un motivo di orgoglio per l’intera industria nazionale».

Quali ulteriori passi avanti l’Italia potrebbe fare per diventare sempre più attrattiva per i player internazionali a livello audiovisivo?
«L’Italia è già oggi un Paese altamente attrattivo per i produttori internazionali, grazie al fascino delle sue location, all’elevata qualità delle professionalità coinvolte e alla presenza di un tax credit competitivo. Tuttavia, un aspetto cruciale che abbiamo potuto riscontrare direttamente sul campo è la necessità di garantire maggiore certezza e affidabilità nei tempi e negli importi dei cosiddetti “soft money”. In alcune circostanze, queste garanzie sono venute meno, generando tensioni anche significative con i partner internazionali. In questo senso, la proposta di eliminare le finestre e consentire un accesso continuativo al tax credit rappresenta un passo nella direzione giusta, una misura che sostengo con convinzione, perché contribuirebbe concretamente a rafforzare la fiducia e l’interesse dei player stranieri nei confronti del nostro Paese».

Come adattate la strategia produttiva quando lavorate con mercati internazionali diversi? Ci sono differenze significative in termini di processi, aspettative o linguaggi produttivi?
«Le differenze non riguardano tanto i processi o i linguaggi produttivi, quanto piuttosto il ruolo che il coproduttore italiano riesce a ricoprire all’interno del progetto: se come lead coproducer, con un coinvolgimento più attivo e decisionale, oppure semplicemente come co-investitore, con un apporto più limitato».

Quali sono le principali sfide che incontrate nella gestione di produzioni internazionali complesse?
«La sfida principale è dimostrare che ciò che inizialmente può sembrare impossibile è, in realtà, realizzabile, e che si può fare in Italia con un partner italiano. Spesso ci confrontiamo con un certo scetticismo da parte dei nostri interlocutori internazionali, ma posso dire con orgoglio che, una volta conclusi i progetti, i nostri partner si sono sempre dimostrati pienamente soddisfatti dell’esperienza».

Lyle, Lyle, Crocodile

Come vi muovete nei mercati esteri per posizionare Eagle come partner produttivo e produttore esecutivo di rilievo a livello internazionale?
«Eagle può contare su un asset di grande valore: il suo presidente, Tarak Ben Ammar, riconosciuto a livello internazionale come uno dei produttori più autorevoli, grazie alle collaborazioni con alcuni tra i più grandi registi, attori e player dell’industria globale. È, senza dubbio, il miglior ambasciatore della nostra società. Accanto a questo, portiamo avanti un lavoro costante di scouting, presentazione e promozione della nostra realtà e dei professionisti che la compongono. Fortunatamente, nel tempo abbiamo ricevuto riscontri molto positivi da parte dei nostri interlocutori internazionali, e spesso è stato proprio il passaparola a favorire nuove opportunità, quando qualcuno cercava un partner affidabile e di qualità».

Quali territori o mercati considerate più strategici per sviluppare nuove coproduzioni?
«Uno dei mercati su cui stiamo puntando con convinzione è l’Arabia Saudita, dove abbiamo dato il via libera a un progetto di sviluppo di Eagle Pictures. È un Paese in forte espansione, che sta investendo in modo significativo nel settore dell’entertainment e che presenta caratteristiche molto interessanti: una popolazione mediamente giovane, una crescente domanda di contenuti audiovisivi e un grande desiderio di svago. In questo contesto, Eagle si è resa disponibile non solo come partner internazionale, ma anche per la produzione di contenuti locali».

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