Cover Story: Giuliana Fantoni e la fierezza del cinema d’essai

La Presidente della FICE delinea con chiarezza la sua visione per il futuro del cinema di qualità, analizzando il ruolo fondamentale delle sale di profondità e le evoluzioni delle abitudini del pubblico. Intanto, traccia un percorso per rafforzare la sinergia tra esercizio e distribuzione, puntando a un’industria più coesa e collaborativa

Unità tra gli associati, reciproco sostegno e maggiore complicità tra i comparti del settore cinematografico. È questo il messaggio pragmatico che Giuliana Fantoni, presidente della Fice – Federazione Italiana Cinema d’Essai, lancia con determinazione. Esercente di lunga data, Fantoni ha sempre fatto del “fare” il suo credo, traducendo le parole in azioni concrete, lontano da retoriche vuote e con la tenacia di chi conosce l’industria e le sue sfide quotidiane. A sette mesi dal suo insediamento al vertice di Fice, ha già le idee chiare su quali attività portare avanti per il bene del cinema di qualità. La sua convinzione è netta: gli esercenti devono fregiarsi con orgoglio del brand “cinema d’essai”, comunicando questo messaggio al proprio pubblico con forza e coerenza. Un approccio che, secondo Fantoni, non può limitarsi a una mera etichetta, ma deve diventare un valore da trasmettere in ogni aspetto della programmazione (che deve essere «diversificata») e delle iniziative, affinché il cinema di qualità possa davvero riscoprire il suo ruolo centrale nella cultura e nella società.

Partiamo dai numeri. Quanti associati conta oggi Fice e come si suddivide in termini di strutture?
«Oggi contiamo tra gli associati 304 cinema, di cui 220 monosale, 74 strutture da 2 a 5 schermi e 10 multiplex con oltre 6 sale, per una quota di mercato del 12%, che siamo certi crescerà nei prossimi anni».

Quali sono gli obiettivi principali di Fice in questo momento storico e su quali fronti si sta concentrando?
«Abbiamo intrapreso un importante processo per rafforzare l’identità e il valore di Fice, consapevoli che quando le nostre realtà cinematografiche collaborano su progetti condivisi, le potenzialità e i benefici si espandono su tutto il territorio. Recentemente abbiamo avviato tavoli di lavoro su tre aree specifiche: didattica, comunicazione ed eventi. Il mio obiettivo è coinvolgere maggiormente gli associati, affinché si sentano parte di una comunità e considerino Fice come un alleato nelle sfide quotidiane del mercato. Abbiamo un enorme potenziale ancora inespresso che merita di essere pienamente valorizzato».

Tra dicembre e gennaio il cinema di qualità ha dato ancora una volta segni di grandissima vitalità sul grande schermo. Secondo lei è un successo più ascrivibile al periodo di uscita, alla forza dei film, o a un pubblico generalmente più ricettivo?
«Credo sia frutto di una semina che parte da lontano. Negli ultimi anni, infatti, è stato fatto un grande sforzo che ha generato un graduale riavvicinamento del pubblico, rendendolo più ricettivo. Questo è stato possibile grazie a molte produzioni di pregio che, nel tempo, hanno dimostrato il loro valore al box office. Nel 2024, a livello di affluenza generale, l’ultimo report CinExpert ha rilevato una crescita del 26% del target più giovane (15-24 anni) e un calo complessivo del pubblico con l’avanzare dell’età».

Come legge questa tendenza?
«Si pensava che i numeri riguardanti i giovani fossero peggiori e che fruissero di contenuti audiovisivi esclusivamente tramite cellulare, ma i dati raccontano una storia diversa. È un segnale molto positivo, perché il futuro del cinema sono i nuovi spettatori e questa percentuale, assolutamente ragguardevole, dimostra che le sorprese non sono ancora finite. La tendenza si è manifestata in modo così veloce e spontaneo che non possiamo fare a meno di pensare che, affinando un canale di comunicazione con loro, ci sia un intero mondo da conquistare. Abbiamo fatto di tutto per far tornare il pubblico in sala, ma la risposta più sorprendente è arrivata dai giovani. Ora, se il mercato – esercenti e distributori – saprà potenziare questo canale di comunicazione e alimentare questo trend, potremo raggiungere nuove vette. Ad ogni modo questa è una tendenza generale del mercato, mentre nei cinema d’essai si osservano dinamiche diverse».

Di che tipo?
«La percentuale di pubblico giovane è più contenuta nelle sale d’essai. Tuttavia, l’elemento positivo che stiamo osservando è un lento ma graduale ripopolamento del nostro pubblico “classico”, ossia gli over 50, che, se affiancato a questo innesto di giovani, rappresenta un trend molto positivo».

Come crede si possa recuperare quella fascia di pubblico più adulto ancora restia a tornare in sala?
«Le attività legate a eventi e occasioni di “salotto” si confermano tra le leve più forti per questo target. Alcuni cinema le propongono regolarmente, altri le stanno integrando nella loro offerta. Il fatto che oggi la promozione di un film includa frequentemente momenti di incontro con registi e attori è indice di una crescente consapevolezza che attività più coinvolgenti per il pubblico dovrebbero stabilmente arricchire la nostra proposta. Non intendo solo registi e attori, ma critici, professori o filosofi, a seconda del tipo di film proiettato. Il pubblico over 50 risponde con maggiore entusiasmo agli stimoli rispetto ad altri target; ha bisogno di un coinvolgimento intellettuale più profondo, apprezza il confronto aperto con le persone, preferibilmente con la presenza dell’esercente in sala. Vuole sentirsi protagonista e parte attiva del locale, non solo spettatore passivo, ma partecipante al dibattito, cercando una vivacità culturale».

Negli ultimi anni molti cinema di qualità hanno ripensato il proprio palinsesto, offrendo una programmazione diversificata e affinando i gusti del pubblico. Oggi come dovrebbe essere strutturato, secondo lei, un palinsesto ideale nei cinema d’essai per mantenere un’identità chiara?
«Per me, una programmazione ideale è quella che include titoli diversificati su più fasce orarie, arricchita da eventi pensati per viziare lo spettatore e curata con una certa libertà dall’esercente. Sono inoltre convinta che non si debba offrire al pubblico solo ciò che chiede e conosce, ma anche opere più sperimentali che spingano lo spettatore oltre i propri gusti abituali».

Questa educazione amplia lo sguardo e la mente, alimentando la curiosità di scoprire cinematografie e generi. È una strada ancora poco battuta, che lo spettatore è chiamato a percorrere insieme a noi. La comunicazione, in questo senso, è fondamentale: suggerire una visione alternativa è una conquista che costruisce un rapporto di fiducia.
«Lanciare il film nel modo giusto è essenziale per la tenitura di un film. A volte i titoli esordiscono in moltissime sale, altre volte partono piano per poi crescere gradualmente e affidarsi al passaparola».

Secondo lei qual è la strategia migliore per garantire una crescita “corretta” e sostenibile delle opere di qualità?
«Il lancio è indubbiamente fondamentale, ma il problema delle teniture è che vengono soffocate dal sovraffollamento delle uscite. Nel cinema di qualità in particolare, così sensibile al passaparola, sarebbe importante dare maggior permanenza in sala ai film, ma diventa impossibile se si deve fare spazio a nuovi titoli, quindi il potenziale di molte opere resta inespresso. Per quanto riguarda, invece, le opere più complesse, è senza dubbio più utile ed efficace una distribuzione mirata che il lancio in molte sale. Va valutata la giusta dimensione del film per collocarlo nei cinema che lo valorizzerebbero al meglio, evitando numeri deludenti e competizioni controproducenti».

Oggi si può ancora parlare di moltiplicatore? E se sì, in che termini?
«Per i blockbuster il moltiplicatore rimane ancora uno strumento valido, ma nel mondo d’essai il pubblico non è più così matematicamente prevedibile e il giovedì non sempre è un indicatore affidabile, spesso si registrano risultati deludenti, per poi assistere a sorprese positive nel weekend. Piuttosto che affidarci esclusivamente alla matematica, oggi possiamo fare affidamento su segnali più concreti, come le ricerche sui social, le interazioni online e il tracking delle campagne marketing. Questi strumenti ci forniscono informazioni più precise su come il pubblico sta reagendo agli stimoli, permettendoci di tracciare un trend».

Come giudica, a livello generale, lo stato di salute del cinema italiano?
«Penso che siamo sulla strada giusta e che il cinema italiano stia regalando belle soddisfazioni. Autori come Ozpetek e Sorrentino hanno ottenuto incassi straordinari, senza contare i risultati de Il ragazzo dai pantaloni rosa, Io sono la fine del mondo, Napoli-New York e Berlinguer. Certo, ci sono anche opere minori, più fragili, ma quando puntiamo sulla qualità, le soddisfazioni arrivano. Vermiglio, ad esempio,
è stato un caso emblematico: un film piccolo che, probabilmente, qualche anno fa non avrebbe avuto lo stesso successo. È interessante vedere come il pubblico l’abbia scelto e premiato. Nella vastità della produzione è fondamentale selezionare la qualità. In passato la nostra cinematografia è stata un po’ penalizzata da una certa diffidenza da parte del pubblico (non sempre mal riposta, purtroppo), ma negli ultimi anni sono uscite in sala opere di grande pregio che hanno riportato gradimento verso il nostro cinema».

Come noto, il cinema di qualità è molto presente in certi mesi dell’anno, mentre scarseggia in altri. Crede si possa invertire questo trend? E quanto incidono abitudini e stagionalità nell’incontro tra domanda e offerta per questo segmento?
«Il vantaggio di un cinema di qualità è che si rivolge a un pubblico di appassionati che sente il bisogno di andare al cinema a prescindere dalla stagione e questo garantisce una minore flessione quando arriva l’estate. Un asset che abbiamo sfruttato troppo poco per mancanza di titoli di un certo appeal. Mi auguro che dopo il Festival di Cannes le opere premiate inizino a uscire in estate, per contribuire alla destagionalizzazione. Grazie al prodotto e al sostegno estivo del Ministero, sono certa che riusciremo a costruire un settore che operi tutto l’anno».

L’anno scorso oltre il 73% degli incassi è stato registrato dai cinema da 5 schermi in su, mentre la migliore differenza positiva sul 2023 si è vista con le monosale. Come si può migliorare ulteriormente il lavoro in profondità?
«La profondità è quel segmento di esercizio che vanta un legame molto stretto con gli spettatori. Questi cinema rappresentano l’essenza più pura della comunità e credo che vadano sostenuti in tutti modi per valorizzarli al meglio. Le strutture che lavorano in profondità, soprattutto le monosale, hanno bisogno come l’ossigeno della multiprogrammazione, che è l’unico modo per raddoppiare, o addirittura triplicare gli incassi. Si può dire che qui la matematica funziona davvero. Diversi distributori si sono già resi conto di questi benefici e la concedono sempre di più con risultati reciprocamente soddisfacenti. Anche la Fice si è attivata per aiutare questo segmento».

In che modo?
«Da due anni Fice organizza l’iniziativa “Al cinema con i protagonisti”, volta a creare eventi in profondità, portando i talent anche nelle sale normalmente escluse da queste attività promozionali. Uniamo la disponibilità dei cinema a quella di registi e attori, avviando tour mirati nelle sale più piccole e periferiche, e l’associazione copre i costi di spostamento, vitto e alloggio, evitando così spese a carico delle strutture. Un’iniziativa che richiede una conoscenza approfondita della geografia delle sale e per la quale è prezioso il contributo di tutti i delegati regionali. Anche per questo ho messo tra i buoni propostiti del 2025 un viaggio lungo l’Italia alla scoperta delle sale Fice».

Alle ultime Giornate Fice, lei ha mostrato un video in cui chiedeva ai passanti cosa fosse il cinema d’essai e quasi nessuno sapeva rispondere. Come si può cambiare la narrazione del cinema d’essai per renderla più vicina a un pubblico più ampio?
«Credo che i cinema dovrebbero iniziare a usare il termine “cinema d’essai” con maggiore fierezza, aiutando il pubblico a comprenderne il valore. Il nostro lavoro non è scontato e, come cinema d’essai, in quanto luoghi di arte e cultura, dobbiamo trasmettere questo messaggio agli spettatori, insieme a tutte le altre attività che svolgiamo. Questo fa parte anche del lavoro di brand awareness che Fice sta portando avanti; forse fino ad oggi abbiamo comunicato troppo poco il nostro valore, ci siamo raccontati troppo poco al nostro pubblico. Per questo stiamo lavorando in modo più mirato sulla comunicazione, con l’obiettivo di fare del cinema d’essai un vero e proprio brand di cui fregiarsi».

Se potesse cambiare qualcosa nell’industria cinematogra ca con uno schiocco di dita, cosa farebbe?
«Vorrei più dialogo tra i vari comparti dell’industria e maggiore complicità. Mi piacerebbe molto, ad esempio, invitare un distributore a trascorrere una giornata alla cassa di un nostro cinema. Sarebbe un’occasione importante per esplorare nuovi punti di vista e favorire un confronto più aperto. Questo discorso vale ovviamente anche al contrario. Un simile processo faciliterebbe un lavoro di sinergia che, fortunatamente, è già iniziato, ma che deve proseguire ed evolversi. Credo anche che se esercizio e distribuzione si coinvolgessero maggiormente, studiando insieme potenzialità e prospettive del lancio dei film, si potrebbero ottenere risultati inaspettati e decisamente migliori. È un valore aggiunto quando l’esercizio viene coinvolto nelle scelte distributive, quando i film vengono mostrati in anteprima e si crea un meccanismo di fiducia reciproca. Questo tipo di collaborazione è fondamentale per la crescita dell’intero settore. I cambi di prospettiva sono sempre un valore. Essere presidente Fice mi ha dato la possibilità di far parte anche della giuria dei David di Donatello e della Commissione tecnica di valutazione dei bandi cinematografici veneti. Nuovi punti di vista che mi arricchiscono e rappresentano una crescita».

L’intervista è stata pubblicata sul numero di febbraio 2025 di Box Office

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