Cover Story: Andrea Romeo e l’innovazione di I Wonder Pictures

Il fondatore e direttore editoriale della casa di distribuzione festeggia i dieci anni di attività, si conferma fiducioso sul futuro del mercato cinematografico e invita a rivedere le strategie distributive

Imprenditore, esercente, distributore, produttore e direttore di festival. Sono molte le anime che convivono in Andrea Romeo, tutte accomunate da una grande passione per il cinema, e molteplici sono anche i traguardi tagliati. Quest’anno, infatti, non si potevano celebrare in un modo migliore i 10 anni di anniversario della nascita di I Wonder Pictures. Il 2023 è stato l’anno dei record per la casa di distribuzione fondata da Andrea Romeo, un anno che si chiuderà con un incasso complessivo oltre gli otto milioni di euro al box office, raddoppiando il precedente record del 2019. Innovando un passo alla volta, Romeo è riuscito a trasformare I Wonder in una solida realtà nel panorama cinematografico italiano, i cui film, come lui stesso afferma, «sono passati dall’essere titoli di ricerca a essere protagonisti del mercato internazionale». Parole confermate dai fatti: quest’anno i suoi The Whale ed Everything Everywhere All at Once hanno raccolto ben dieci Oscar (proprio come gli anni di I Wonder), compreso quello come Miglior film. Una vittoria che comprova l’attitudine innata di Romeo nell’acquisire pietre grezze che poi si rivelano preziose gemme (sono stati tantissimi anche i premi che i film targati I Wonder hanno ricevuto ai festival nel corso degli anni).

Nella foto, da sinistra, Nicoletta De Vecchi (Post Theatrical Sales Manager di I Wonder), Emanuela Ceddia (Vice President di I Wonder), Francesco Fantoni (Vice President di Pop Up Cinema), Andrea Romeo (Ceo di I Wonder Pictures) e Benedetta Caponi (Head of Theatrical Sales di I Wonder) – (© Riccardo Ghilardi/courtsy of I Wonder)

Cos’ha significato per I Wonder Pictures un anno d’oro come il 2023, dove i vostri The Whale ed Everything Everywhere All at Once hanno vinto dieci Oscar, tra cui Miglior film?
Per noi è stato il compimento di un percorso nella ricerca sulla cinefilia giovane e sulla possibilità che opere innovative possono avere in termini di pubblico in sala. Da anni abbiamo seguito tutto quello che si muoveva nella sperimentazione del raccontare il nuovo in forme innovative. Quello che prima era nicchia è arrivato a diventare mainstream e a conquistare l’attenzione di Hollywood. Abbiamo toccato con mano il grande valore degli Oscar in termini di comunicazione, anche in Italia. Ancora più dei festival cinematografici, gli Oscar spingono il pubblico a conoscere e a vedere i film protagonisti. Si sono già visti i risultati nel mese delle nomination, anche se subito dopo la vittoria sia The Whale che Everything Everywhere All at Once hanno raddoppiato improvvisamente il loro pubblico diventando dei must see.

Lei sembra avere un talento innato per acquisire film ai mercati internazionali che spesso ricevono premi prestigiosi ai festival cinematografici. Cosa la porta a credere in un progetto piuttosto che in un altro?
Anche perché solo lei ha creduto in certi titoli. In parte è perché rifuggo la normale e logica paura per i limiti di alcuni film. Quando mi innamoro di un film, pur comprendendone i punti deboli, tendo a pensare che i valori che racchiude possano arrivare a coinvolgere il pubblico. È chiaro che non sempre è così. La linea editoriale di I Wonder Pictures è sempre la stessa, ma i film attraverso cui si esprime sono passati dall’essere film di ricerca a essere protagonisti del mercato internazionale. Rispetto ai festival, in particolar modo nell’ultimo anno la Mostra del Cinema di Venezia e il Festival di Berlino sono stati vinti da due doc di autori con cui lavoriamo da un decennio, Laura Poitras e Nicolas Philibert. Quindi il merito non è nostro, ma del consolidamento di questi autori nel panorama internazionale. Noi siamo semplicemente rimasti al loro fianco mentre il loro talento e la loro notorietà crescevano. Credo sia normale che arrivi il momento in cui autori seguiti a lungo riescano a esprimere un livello più alto. Comunque, ci sentiamo molto fortunati dell’attenzione che questi titoli hanno avuto nell’ultimo anno.

La zona d’interesse di Jonathan Glazer (© courtesy of I Wonder)

Ci aiuti a inquadrare l’offerta di I Wonder per il prossimo semestre. Quali sono i vostri film di punta?
Continuiamo a esplorare il rappresentabile attraverso film coraggiosi come La zona d’interesse, che raggiunge vertici cinematografici e di senso che sono stati ampiamente riconosciuti allo scorso Festival di Cannes con il Gran Premio della Giuria. O film come Robot Dreams, che fanno della loro inventio e della loro originalità un apice di risultato che li rende assolutamente unici nel panorama internazionale. E ancora film come The Animal Kingdom, che provano (e riescono, visto il risultato francese) a partire dal cinema
d’autore per arrivare, attraverso un attento lavoro sui generi, a mettere insieme le caratteristiche contenutistiche del cinema d’essai e la larghezza, in questo caso, del cinema per ragazzi di azione ed effetti speciali. Un equilibrio che troviamo anche in
The Beast di Bertrand Bonello, presentato da poco in anteprima a Venezia: un’opera visionaria, intelligente e coraggiosa, che assume in sé spunti fantascientifici, riflessioni sul tema delle Intelligenze Artificiali, romance e film in costume. Sempre da Venezia, porteremo in sala la nuova opera di Stéphane Brizé, Hors-Saison, tenerissima storia d’amore tra due ex che si ritrovano, l’attore in crisi Guillaume Canet e l’insegnante di piano dalla stanca serenità Alba Rohrwacher. Un’opera a ritmo di risacca, deliziosa e scritta benissimo. Non dimentichiamo poi la nostra usuale attenzione per la commedia francese più leggera: a Natale 2023 usciremo con Tutti a parte mio marito – It’s Raining Men, con Laure Calamy, un’attrice che adoriamo e che ci conquisterà ancora una volta. Qui è una giovane donna che affronta la crisi di passione del suo matrimonio affidandosi alle imprevedibili esperienze offerte da una app di dating.

Recentemente avete acquisito film di cui è particolarmente orgoglioso? Sicuramente La zona d’interesse è un film importantissimo e ambizioso. Entra nella ristrettissima cerchia dei film sulla Shoah ed è capace sia di garantire un’esperienza
cinematografica molto alta e impattante, sia di avere una indiscutibile portata culturale, riflettendo anche sul senso della memoria, e una esattezza assoluta sul tema, su cui ovviamente è fondamentale dire le cose in maniera molto precisa. Sono molto orgoglioso di The End di Joshua Oppenheimer, un autore che seguiamo sin dal suo primo film The Act of Killing e che abbiamo accompagnato a Venezia, dove anni fa il suo The Look of Silence ci ha regalato il nostro primo Gran Premio della Giuria. Torna ora con la sua prima opera di finzione, un grande film sull’umanità con un cast stellare, da Tilda Swinton a Michael Shannon a George MacKay. È un salto incredibile per un autore che finora aveva fatto solo documentari e che ho avuto il piacere di vedere sul set (parte del film è girata in Sicilia, sulle Madonie) mentre si confrontava con un budget gigantesco e con qualcosa di assolutamente nuovo e lontano dal cinema che lo ha reso noto. E poi c’è una piccola perla in cui ho creduto subito a Cannes – siamo stati i primi ad acquisirlo – che a mio avviso è la summa di un nuovo cinema arthouse giovane e di rottura: si intitola The Sweet East e sarà una sorpresa della stagione 2024, un film super-indipendente americano che rivela il talento di una giovanissima star emergente, Talia Ryder, capace di portare sulle sue spalle e sul suo volto un film sorprendente, divertente, super-colto e al contempo catchy come amano i giovani spettatori.

Il gruppo di coordinamento di I Wonder Pictures, che rappresenta una ben più ampia squadra di oltre 30 professionisti (© Riccardo Ghilardi/courtesy of I Wonder)

Oggi ritiene che la vostra squadra abbia raggiunto la piena maturità?
Assolutamente sì, è un dream team con enormi competenze, con molti nuovi talenti arrivati negli ultimi 36 mesi, post-covid, e che però ha un rodato nucleo propulsore che lavora insieme da oltre 6 anni a un perenne laboratorio sulla distribuzione.
Facciamo una vera e propria attività di publishing cinematografico, in cui ogni singolo titolo aggiunge una frase a una narrazione che è poi complessiva rispetto al listino e alla linea editoriale. Al contempo, il fatto che il team fosse al completo lo pensavo anche due anni fa, quindi mi lascerò ancora sorprendere da ciò che faremo nei prossimi due anni. Probabilmente l’accelerazione che i social media e l’IA stanno dando alla comunicazione mi suggerisce già che non bisogna essere sazi e soddisfatti e bisogna continuare a esplorare il nuovo. Non dirò “Stay hungry, stay foolish”, perché Steve Jobs ha detto un’ovvietà che tanti visionari prima di lui, come Thomas Alva Edison o Enrico Mattei, avevano espresso in maniera meno “markettara”: la ricerca è sempre una parte fondamentale di ciò che diventa patrimonio e presidio. Esplorare le possibilità che una tecnologia può esprimere è poi in fondo nel DNA stesso dell’invenzione cinematografica.

Lei gestisce anche il circuito di monosale Pop Up Cinema nel cuore di Bologna, di cui è presidente, che conta quattro strutture. È soddisfatto dei risultati raggiunti quest’anno? Sono in programma piani di espansione o di ristrutturazione?
Abbiamo dato a Pop Up Cinema un nuovo vice-president, Francesco Fantoni, che viene da un’esperienza ventennale nel theatrical con UCI, e questo è funzionale anche a dare struttura e prospettiva al progetto. Pop Up Cinema non passa solo attraverso un ripensamento delle modalità di gestione e organizzazione di lavoro e obiettivi dell’esercizio – di fatto guardando alle tante esperienze di monosala che in questi anni hanno dimostrato qualità e risultati in tutta Italia –, ma anche attraverso sperimentazioni editoriali. La prospettiva è di costruire una comunità alimentata da eventi e rassegne settimanali destinati a target ben individuati e differenziati: dagli studenti tra i 14 e i 19 anni della Pop Up Academy, a chi ha tempo il pomeriggio del giovedì per partecipare alla Pop Up Senior Academy, alle iniziative sul cinema francese di Mardì Bon Bon e al pubblico del documentario dei Lunedì Top Doc. Ovviamente nell’esercizio non si inventa niente, ma si cerca settimana dopo settimana di migliorare e perfezionare l’offerta cinematografica per far sentire il pubblico a casa. Da qui il claim della community Pop Up Cinema House: “Fai del cinema casa tua”.

Guillaume Canet e Alba Rohrwacher in Hors-Saison (© courtesy of I Wonder)

Vedremo mai I Wonder Pictures quotata in Borsa?
Sono assolutamente laico rispetto a tutto quanto può succedere, perché ovviamente dieci anni fa non potevo lontanamente immaginare che I Wonder Pictures avesse la possibilità di esprimere il suo potenziale come è avvenuto. Ma mi sembra, forse con pregiudizio, che la Borsa sia più strettamente legata a operazioni finanziarie e valori economici, piuttosto che alla creazione di laboratori innovativi e investimenti in ricerca, sviluppo e contenuti, che sono invece la mia passione e il mio interesse primario. Diciamo che in termini di organizzazione industriale credo che la salvezza dei contenuti di qualità sia costituita dai capitali pazienti e questo mi sembra l’opposto di quello che il sistema finanziario oggi rappresenta.

È sempre fermo nella sua decisione di non produrre film?
Assolutamente no. Non è mai stata una decisione, ma una circostanza che in fondo abbiamo già superato anni fa cominciando a entrare più da vicino nella progettazione dei nuovi film degli autori che amiamo. Tanto che proprio nell’ultimo anno siamo stati co produttori minoritari nel nuovo film di un autore finlandese che apprezziamo molto e distribuiamo con continuità, Teemu Nikki: La morte è un problema dei vivi, che ha debuttato in concorso alla Festa del Cinema di Roma. Per un distributore entrare in un film sin dalla sua scrittura e progettazione è una grande opportunità di capirne i valori e orientarne la comunicazione e il target. Le prime esperienze in questo campo ci stanno dando grandi soddisfazioni e credo che nel prossimo futuro cercheremo di aiutare gli autori che stimiamo a produrre i loro film. Siamo convinti che nei prossimi anni cambierà profondamente la modalità con cui i film saranno prodotti e aumenteranno le occasioni di esprimersi con successo per i film a piccolo budget, laddove invece quelli a budget medio sembrano i più fragili rispetto all’attuale mercato dell’entertainment. La chiave di tutto, oggi, è avere autrici e autori tecnicamente e linguisticamente capaci, e soggetti che sappiano attirare l’attenzione del pubblico per la loro originalità e attualità.

(© Riccardo Ghilardi/courtesy of I Wonder)

Da fine agosto/inizio settembre c’è stato un risveglio dei “titoli medi” al box office, che sono tornati a registrare numeri significativi. Come interpreta questi segnali?
Ormai ci sono molti pubblici e non sfugge a nessuno che, oltre ai grandi blockbuster capaci di sostenere una stagione intera, serve valorizzare fenomeni, anche nazionali, capaci di esprimere un box office rilevante per qualche settimana. Per questo, chiediamo da anni al mercato di applicare maggiore attenzione ai titoli originali e rischiosi che possono, con 50 copie, essere testati e poi nel caso fare la loro parte ben più dei ricorrenti titoli molto scontati e tutti uguali, che escono in 250 copie anche se sappiamo già tutti che non funzioneranno. Il cinema di qualità con poca spinta commerciale continua a non attrarre il pubblico in sala.

Secondo lei è più un problema di comunicazione, di connessione con gli spettatori, o di sovraffollamento?
Sicuramente non possiamo dispiacerci della quantità di uscite, perché parliamo di film che non riescono a raccogliere più del loro piccolo pubblico già definito in partenza. Quello che dobbiamo chiederci è se dobbiamo smettere di portarli in sala per valorizzare quelli che hanno un potenziale più alto, o se in fondo ogni autore e ogni moda comincino piccoli, per poi esprimere le proprie potenzialità di uscita. E quindi riflettere se continuare a fare, con distribuzioni mirate, uscite capaci di creare una relazione tra opere di ricerca e un piccolo pubblico non sia in fondo il modo più saggio e proficuo di dissodare il mercato, invece di andare solo verso la monocoltura e focalizzarci totalmente sui trend del momento. Mi sembra che ci siamo già passati e abbiamo capito che le priorità del pubblico cambiano e che per capire al meglio what’s next serve sperimentare costantemente. Non ho mai creduto alla coltura monotematica che genera mostruosità, come nel caso di tre anni di vampiri che finiscono per dissanguare il mercato. La dimostrazione dell’efficacia del laboratorio ce la dà proprio Disney, che ha aperto i suoi supereroi ad autori nuovi, grandi sperimentazioni che hanno fatto esplodere il Marvel Universe in tutte le direzioni, dall’horror di Doctor Strange alla comedy surreale dei Thor di Taika Waititi. Apprezziamo come il Governo e il sottosegretario Borgonzoni abbiano compreso la necessità di valorizzare i piccoli film non italiani sostenendo l’attività editoriale dei distributori indipendenti. Vogliamo credere che nel prossimo decreto, così come è per le sale, anche per la distribuzione indipendente ci sarà un aiuto per tutto il cinema d’essai non italiano. Altrimenti tutti noi saremo costretti a smettere di distribuire i film extraeuropei e i film europei che non possono avere il sostegno del MEDIA e questo genererebbe un grave impoverimento del mercato.

The Animal Kingdom di Thomas Cailley (© courtesy of I Wonder)

Ritiene adeguate le strategie di programmazione dei cinema nel contesto attuale, tra pianificazione e multiprogrammazione?
Me lo chiedi perché sai che il problema esiste. Purtroppo è un’evidenza che, a causa di alcune storture dell’esercizio italiano, ci perdiamo almeno un 10-15% dei risultati possibili. I distributori che non sono in grado di imporre i propri film ricevono il piazzamento troppo tardi. È una modalità dannosa. Visto che poi le sale sono sempre quelle, tanto vale saperle con grande anticipo per poterle preparare al meglio e rafforzare gli investimenti sul territorio. Pubblicare sui social il martedì l’uscita del giovedì è quanto di più autolesionista il mercato possa fare. Anche negli altri Paesi ci sono distributori e film medi e piccoli, ma facciamo davvero fatica a spiegare ai colleghi europei l’incapacità del mercato italiano di definire con un congruo anticipo le sale in cui un film uscirà. È incontestabile che Circuito Cinema abbia sulle capozona una quota rilevantissima del prodotto d’essai. Da questo grande potere dovrebbe derivare un grande senso di responsabilità. Di fatto la modalità con cui opera appare un po’ antica e inspiegabilmente macchinosa. Se a questo aggiungiamo il non celato conflitto legato al dover favorire sempre e comunque i film dei distributori soci di Circuito, viene da chiedersi perché ancora tutti noi proviamo a lavorare su quel segmento. Ma, come dice il protagonista del nostro divertentissimo Making of di Cédric Kahn, “il cinema è una droga pesante”. A voler vedere il bicchiere mezzo pieno – non riesco mai a non essere ottimista – nell’imminente futuro Circuito Cinema dovrà e sono certo saprà cambiare, dall’hard power al soft power. Il passo è grande, ma i risultati arriverebbero subito. Ancora, credo si debba festeggiare l’opportunità del Circuito UNICI e il coraggio dei tanti indipendenti che stanno cominciando a farsi da soli la programmazione senza prendere ordini superiori. Un cambiamento sul cinema di qualità potrebbe dare un bel boost a tutto il cinema indipendente. Continuiamo fiduciosi ad attenderlo.

Molto probabilmente gli scioperi di questi mesi in Nord America porteranno allo slittamento di alcuni film importanti nel 2024. Crede che il nostro mercato riuscirà a cogliere le opportunità che si apriranno in questo scenario?
Come sempre mi tocca essere realista: credo che dovrà farlo. È una cosa che passa…

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