Di seguito un estratto dell’intervento dell’attrice Anna Foglietta pubblicato sul numero speciale di Box Office del 15-30 gennaio (n. 1-2), realizzato in occasione dei 25 anni della rivista. Per leggere il testo integrale, scaricare la versione digitale dall’app di Box Office su Google Play e App Store, o abbonarsi direttamente alla versione cartacea della rivista.
«Ho cercato, impegnandomi moltissimo, di scrivere qualcosa che parlasse del cinema senza cadere nella descrizione nostalgica di un tempo che non c’è più e che mai tornerà, nel vano tentativo di trovare speranza (parola che odio) in un futuro che ancora avesse nel suo esistere la presenza dell’esperienza cinema, come qualcosa di irrinunciabile ed essenziale», scrive sulla rivista Box Office la celebre attrice Anna Foglietta. «Ho cercato, facendo appello a tutta la mia fantasia e al mio ottimismo, di ricorrere anche alla ciclicità della storia coi suoi corsi e ricorsi. Ho immaginato persino la presenza di un piccolo esercito di santi utopisti, vagamente martiri, che andassero in giro per il mondo a professare la bellezza della sala cinematografica come qualcosa di orgasmatico, esotico, da provare per credere. Ho perso molto del mio tempo, perso sì, a cercare soluzioni che potessero far rifiorire gli incassi delle sale, visualizzando lunghe code fuori dai cinema con persone sotto gli ombrelli a parlare tra di loro su quello che avrebbero visto o su un film già consumato la sera prima. Ma capite… sono inevitabilmente ricaduta in quella tristissima evocazione di un tempo diverso. Sono incastrata in un film di Woody Allen, metalinguistico e pieno di autocompiacimenti. Aiuto, che dilemma, che matassa difficile da sbrogliare. Io non sono letteralmente in grado di trovare soluzioni, e non so nemmeno perché mi abbiano chiesto di scrivere di cinema in un momento cruciale come questo. Sono nata analogica e ho dovuto imparare ad amare il digitale. Mi adeguo, per carità non sono stupida, e ne usufruisco nelle attese da camerino recuperando sul cellulare serie Tv che a casa la sera non avrei modo di vedere, ma non mi piace, o meglio mi piacerebbe se avessi ancora la possibilità di scegliere. L’arrivo delle piattaforme mi ha entusiasmato, possono essere utilizzate dal pubblico in tanti modi e di fatto, oltre che offrire prodotti splendidi e interessanti novità raccontate con un linguaggio nuovo, mi hanno spesso permesso di goderne coi tempi dettati dalla mia vita e non da quelli di orari prestabiliti.

(© iStock)
Poi il mondo è cambiato completamente da marzo 2020, e noi con lui. Ci siamo chiusi nelle nostre case e il “fuori” è diventato un nemico, qualcosa da cui doverci difendere. Abbiamo desiderato con tutte le nostre volont di riappropriarcene, ma quando poi la possibilità di ritornare a una pseudo normalità ci veniva offerta di nuovo su un piatto non d’argento, ma di alluminio, lo abbiamo annusato e respinto diffidenti. E allora nel dubbio siamo tornati a cuccia col telecomando in mano, illudendoci d’avere tutto a nostra disposizione. Il mondo sta andando in una direzione di individualismo patologico. Tendiamo a fare esperienze da soli e poi a parlarne insieme nascosti dietro l’ennesimo piccolo piccolissimo schermo, senza correre il rischio di dover dire quello che si pensa guardando negli occhi l’altra persona, magari mangiando quella famosa pizza che seguiva sempre la visione del film. Io non ho la preparazione per potermi definire antropologa, né filosofa, e non conosco così a fondo le abitudini delle nuove generazioni, ma sono un’attrice con la pelle sempre scoperta e le antenne sempre dritte, e ho una sensazione strana addosso che mi spinge a pensare sempre più fermamente che chi si limita ad accettare questo modo di pensare la propria vita, solo perché apparentemente sembra non essercene un altro, beh, sta perdendo grandi occasioni. Non possiamo cedere all’alienazione sociale, perché sarebbe come alzare una enorme bandiera bianca, vinti, dinanzi l’ineluttabile subìto, senza aver neanche provato a lottare. E non lottare pernoi, ma soprattutto per chi non riesce a cogliere il pericolo sottile che c’è dietro a questo stile di vita allucinante. La vita non è un divano. La vita pulsa, è a colori, vibra e noi adulti abbiamo il dovere di mostrare questo battito ai ragazzi, e il cinema è un simbolo importantissimo per trasmettere questo anelito potente di vita. Come dicono saggiamente a Napoli io sono “a disposizione” per essere usata a favore della causa, a patto che…».
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